Pare che il gruppo originario di Singapore abbia deciso di non pubblicare più album. Magari farà ancora qualche show dal vivo, ma non tornerà più in studio. Un peccato perché ‘TAMAT’ è nettamente il lavoro migliore in carriera. Un disco che bilancia alla grande le influenze post-rock e ambient degli esordi con l’evoluzione in termini di produzione degli ultimi anni. La materia strumentale viene arricchita in continuazione con spunti originali e tratti ritmici che non riconducono a nessuna scena e questo rappresenta uno dei punti di forza principali di una registrazione che trasmette energia e passione, senza per forza rifarsi ai colossi che tutti conosciamo. Apre la title track e per sette minuti veniamo scombussolati tra feedback, riverberi, distorsioni e tappeti sonori suadenti. ‘Putri’ e ‘Menyerlah’ sono tra i passaggi più significativi e il senso di chiusura di percorso e gratitudine espresso dal titolo, che nel loro idioma sta proprio per fine, si riflette in almeno un paio di arrangiamenti più coraggiosi e imprevedibili, nei quali emerge la capacità improvvisativa dei membri. Le soluzioni cinematiche sono state irrobustite rispetto al precedente ‘There Is A Tomorrow You Don’t Know’ e Mokhtar Rizal ha saputo donare alle chitarre una grande incredibile, adoperandosi perché nel mixaggio ogni strumento avesse la propria personalità. I dieci minuti di ‘Sedar’ ci allontanano, forse definitivamente, dai Paint The Sky Red ma la loro fatica non andrà perduta. Anzi, sono assolutamente convinto che ‘TAMAT’, tra una quindicina di anni, verrà considerato un classico del genere.