Un esordio folgorante per una quartetto che affonda le proprie radici in Austria, Germania, Iran e Tanzania. Un vero progetto multietnico e multiculturale, fresco e moderno, che si muove con destrezza tra pop e indie rock con evidenti retaggi di Franz Ferdinand, The Killers e Algiers ma un cantato del tutto personale. Il beat dance di ‘Believers’ apre un album che non presenta cali di tensione e potrebbe andare bene per un dancefloor alternativo (‘Disco Demolition Night’) così come per un’arena strapiena di rockers. Immediatamente si percepisce il talento di Mwita Mataro che non vediamo l’ora di ammirare on stage e infatti dall’ascolto, al di là delle linee melodiche catchy e del groove electropop, emergono una spiccata attitudine live e tanta elettricità. La produzione non risulta di plastica come quella di tante release di oggi, si mantiene in bilico tra gli anni ‘80 e i classici delle suddette icone post-punk revival ed è capace di mettere in evidenza il tocco percussivo di Paul Majdzadeh-Ameli e tingere di diversi colori le atmosfere. Scorrendo la scaletta (‘OPOV’, ‘Lions’ e ‘Ketamine’) ci imbattiamo in una band che possiede classe e maturità non trascurabili e sorprendenti visto che siamo al cospetto dell’opera prima. Las Vegas Records si conferma eccellente nello scouting (Leyya, Like Elephants) e la sensazione è che sentiremo molto parlare degli At Pavillon nei prossimi mesi.