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Bologna Violenta
Italia
Pubblicato il 15/03/2020 da Lorenzo Becciani

Siete giunti alla sesta fatica discografica. Avresti pensato che Bologna Violenta ti portasse tanto lontano quando è iniziata questa avventura?
Direi proprio di no. Il primo album (quello con Maurizio Merli in copertina, per capirci), era nato dal desiderio di fare qualcosa che fosse mio al 100%, senza compromessi, senza che qualcuno mi dicesse cosa fare o cosa non fare. Per un periodo ho anche pensato che sarebbe stato il mio epitaffio come musicista (non era un bel periodo per me, posso tranquillamente ammetterlo). Non avevo neanche pensato di suonare dal vivo con questo progetto, ma quando mi si è presentata la possibilità non mi sono tirato indietro, anzi, direi che ci ho proprio preso gusto fin da subito. Bologna Violenta è passato dall’essere un mero “sfogo” all’essere una parte importantissima della mia esistenza. Spesso mi capita di ripensare all’ingenuità, alla sincera voglia di fare qualcosa di buono principalmente per me, senza rendermi conto che questo avrebbe cambiato così radicalmente la mia vita.

Il concept dietro al progetto è sempre lo stesso oppure è mutato negli anni?
Dopo il primo, inconsapevole disco, il concept più o meno è rimasto invariato, andando a toccare vari aspetti della natura dell’essere umano. Ogni disco si basa su storie ed argomenti diversi, ma di base mi è sempre piaciuto indagare e mettere in luce gli aspetti più grotteschi e a volte ripugnanti dell’uomo e delle sue azioni.

Di cosa parlate in ‘Bancarotta Morale’?
“Bancarotta Morale” racconta le storie di persone che non hanno guardato in faccia nessuno per raggiungere i propri scopi. Partendo da posizioni diverse, ognuna di loro, dopo aver conosciuto il fallimento è riuscita a rifarsi una vita con mezzi spesso disdicevoli, a scapito di chi faceva della loro esistenza. È un disco che parla di prevaricazione, di soprusi, di morte.

Nel mondo di oggi quanto c’è di morale?
Questa è un’ottima domanda, anche se io per primo non so dare una risposta concreta. Prima di tutto bisognerebbe soffermarsi sul termine “moralità”, che ha un significato diverso in base alla provenienza socio-culturale di ognuno di noi. All’interno di diverse culture questo termine ha un significato diverso e quello che per me può essere moralmente inaccettabile, per un altro lo può essere. Per quel che mi riguarda, ogni azione atta a prevaricare il prossimo in favore dei propri interessi non rientra nell’ambito della moralità. Il mondo di oggi è più che mai votato al denaro e al raggiungimento di obiettivi personali a scapito del prossimo e, come possiamo ben vedere anche in questo momento di emergenza sanitaria, non mi sembra che ci siano molti esempi di miglioramento in questo senso.

Quanto è centrale il ruolo del violino?
Il ruolo del violino è fondamentale e la cosa che mi fa sorridere, in un certo senso, è che quando ho registrato il primo album, una delle regole che mi ero dato era proprio quella di tenere il violino lontano da questo progetto. Col passare del tempo ho sentito sempre di più l’esigenza di renderlo protagonista; a partire da “Uno Bianca” ho deciso che ogni pezzo avrebbe dovuto essere arrangiato con un trio d’archi, con il successivo “Discordia” mi sono spostato in territori più sinfonici, mentre con l’ep “Cortina” avevo il desiderio di rendere tutto minimale con il violino a fare da protagonista. “Bancarotta Morale” è la naturale conseguenza di quanto fatto fino ad ora, non a caso il violino è diventato la base tematica e melodica, anche se ho voluto rendere il disco più completo aggiungendo due armonium che facessero da contrappunto. Questo almeno per quel che riguarda tutta la prima parte del disco, mentre il lungo brano che chiude l’album è basato su un’improvvisazione di organo che è stata poi arrangiata con una sezione d’archi e sintetizzatori. Se metà disco tende ad essere minimalista, in questo pezzo si nota un certo massimalismo, dove il violino non è lo strumento principale, ma è parte di un mondo sonoro molto più ampio.

Rispetto al passato l’elettronica, i synth e la drum machine hanno assunto un peso specifico maggiore?
No, anzi, direi proprio il contrario. Tutto quello che si sente nel disco è stato suonato. Solo in “Fuga, consapevolezza, redenzione” la parte ritmica è stata programmata, anche se i suoni che si sentono sono dei campioni di suoni “reali” creati da Alessandro usando oggetti del suo quotidiano, quindi non veri e propri strumenti musicali. Per il resto, la batteria è acustica e suonata, così come il violino, l’organo e i sintetizzatori. Siamo passati dal comporre e registrare i dischi basandoci su un approccio digitale al suonare tutti gli strumenti quasi in analogico. Questo, a nostro avviso, ha dato molto respiro alla nostra musica, rendendola più efficace e più umana. In ogni disco c’erano dei sintetizzatori, ma in questo caso ho usato strumenti veri e non virtuali, con tutti i difetti e le imprecisioni del caso.

Perché avete scelto ‘Lo Sposo’ come singolo? É il pezzo più rappresentativo del sound attuale di Bologna Violenta?
“Lo sposo” è un pezzo che avevamo scritto parecchio tempo fa e il provino era stato registrato con le chitarre. Riascoltandolo, ci siamo resi conto che avrebbe funzionato anche col violino, rendendolo così coerente col resto del disco. Il risultato ci è parso da subito una sorta di “ponte” tra quanto abbiamo fatto fino a “Discordia” e il nuovo corso. Da un lato la batteria e i riff sono in linea col passato, ma sostituendo gli strumenti abbiamo capito che non era affatto molto diverso dagli altri pezzi che avaveamo scritto per questo album. Quindi direi che sì, rappresenta benissimo il sound attuale.

Il finale del disco sembra aprire a contenuti diversi o scenari più sperimentali. É l’inizio di una nuova era?
“Fuga, consapevolezza, redenzione” è un pezzo che ho scritto e registrato ormai un anno fa. L’idea era quella di fare un’improvvisazione all’organo e vedere cosa ne sarebbe uscito. Quando dopo alcune settimane di lavoro ho chiuso il mix, ho subito pensato che avrei voluto farlo uscire a nome Bologna Violenta, perché rappresentava da un lato tutto quello che mi piace ascoltare e suonare, ma era a suo modo anche in linea con la nostra proposta. Se da un certo punto di vista mi rendo conto che è molto lontano dai nostri canoni (vedi la lunga introduzione e la mancanza della batteria, giusto per dirne un paio), d’altra parte sento che è un pezzo totalmente “mio”, sia dal punto di vista di sviluppo delle melodie, che dal punto di vista armonico. Non mancano poi i momenti in cui il rumore copre tutto, in cui i cluster di armonium sono protagonisti, spesso inaspettati, che rimandano all’approccio che ho sempre avuto scrivendo i pezzi di Bologna Violenta. Non so se sia l’inizio di un percorso diverso, non so se il progetto diventerà mai una versione moderna dei Popol Vuh (passatemi il paragone), anzi, lo vedo improbabile. Però penso che sia esattamente ciò che volevamo far uscire oggi e che sia il perfetto “lato B” di un disco come questo.

Il vostro mercato di riferimento è sempre l’Italia o pensate di promuovere l’album anche all’estero? Avete avuto riscontri da qualche nazione estera in tal senso?
Abbiamo sempre fatto delle incursioni all’estero e la risposta è sempre stata molto positiva. Stiamo organizzando un tour europeo in ottobre, di sicuro la nostra intenzione e quella di farlo ascoltare anche al di fuori dei confini nazionali.

Dovete avete trovato le foto di copertina?
Sono foto che ho recuperato negli anni in vari mercatini dell’usato, luoghi che tendo a frequentare assiduamente. Ovviamente, per dovere di cronaca, non sono le vere foto dei personaggi di cui raccontiamo le storie: prima di tutto per una questione di privacy (anche se i protagonisti sono passati a miglior vita parecchi decenni fa), ma anche perché le loro vicende mi sono state riferite da persone che ho incontrato in giro per il mondo, quindi riuscire a trovare delle foto che li immortalassero sarebbe stato pressoché impossibile. Cercando nella mia collezione di foto antiche, queste mi sembravano particolarmente adatte, anche per una questione geografica, essendo ritratti di persone che vivevano nelle stesse zone di quelle dei racconti.

Cosa dobbiamo imparare da persone come Manuele Bruni, la banda Przyssawka, Cesarina Boarolo o il conte di Babenhausen?
Secondo me la lezione è sempre una: c’è sempre qualcuno pronto a “farci le scarpe” per un proprio tornaconto. ?

(parole di Nicola Manzan)

 

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