Non stiamo parlando del terzo segreto di Fatima, i Turbonegro sono diventati un’istituzione del moderno panorama r’n’r soprattutto grazie alla loro attitudine peculiarmente dissacratoria, piuttosto che per merito di qualità tecnico/compositive memorabili. Certo, album come ‘Apocalypse Dudes’ ed il penultimo ‘Scandinavian Leather’ restano tuttora due pietre miliari di un metodo scanzonato e vagamente ambiguo di manipolare la musica rock, che tuttavia non ha mai generato epigoni degni di nota. Con questo nuovo album, il gruppo capitanato dal bassista Happy Tom risente, forse per la prima volta, dei limiti imposti dalla propria immagine, inanellando dodici canzoni leggere e festaiole ed attenuando troppo repentinamente le atmosfere cupe che avevano garantito la necessaria varietà del già citato album precedente. Sorvolando su questa comunque palese forzatura, c’è da dire che ‘Party Animals’ costituisce un ascolto frizzante e piacevole, che stilisticamente azzera ogni parentela col punk ed alleggerisce di conseguenza la potenza del suono, al punto di ospitare in due brani l’orchestra sinfonica della radio norvegese. I testi (aspetto mai secondario quando si tratta dei Turbonegro) assecondano il cambiamento fino a un certo punto, svisando tra autentici cori da balera ed uno humour nero venato di amaro sarcasmo. Un estremo tentativo di ricondurre, almeno concettualmente, il gruppo su un terreno più familiare? Il tempo dirà.