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Iceland Airwaves 2017 - Thursday Nov 2

Essendo già stato ad Akureyri e più volte alla Blue Lagoon, non ho avuto alcun interesse a spostarmi nel Nord dell’Isola e testare, oltre al bagno nelle vasche geotermiche del lago Mývatn, la seconda versione, decisamente più ridotta ma comunque intrigante, del festival. I nomi più grossi che si sono esibiti all’inaugurazione del Græni Hatturinn, dell’Hof e del Pósthúsbarinn sono stati Ásgeir, Mammút, Milkywhale, i veterani 200.000 Naglbítar e l’androgino Joey Christ. Per chi come me è rimasto a Reykjvík, la mattina del giovedì è stata inaugurata da Emiliana Torrini, protagonista poi la sera al Teatro Nazionale con i suoi The Colorist, che ha dato il buongiorno agli ospiti del KEX mostrando una spontaneità ed una freschezza che di solito competono alle giovani artiste e non alle stelle consolidate. Parlando con lei qualche minuto prima del concerto ho percepito una certa emozione, come se i successi passati e l’amore che tutto il popolo islandese le riserva ogni volta non fossero sufficienti a tranquillizzarla. In aereo mi sono ascoltato di nuovo ‘Love In The Time Of Science’ e ‘Tookah’ e di cantanti di questo tipo in circolazione ce ne sono davvero poche. A seguire Àn, a dispetto della giovane età, ha lasciato intendere i motivi per cui ‘Ljóstillífun’ è una delle uscite più interessanti degli ultimi anni in casa Möller Records (Futurgrapher, EinarIndra). L’incrocio tra piano e elettronica è celestiale, il suo show crescerà e ne vedremo delle belle. Nel primo pomeriggio gli Hey Elbow hanno lasciato tutti a bocca aperta al Bar Ananas – attendo con ansia il successore di ‘Every Other’ che uscirà nei primi mesi del nuovo anno - mentre Lára Rúnars e Úlfur Úlfur hanno fatto il pienone, rispettivamente all’American Bar e al Bryggian Brugghus. Alle cinque mi sono trasferito alla Port Gallery di Laugavegur, 23 dove Sóley si è esibita con la fisarmonica ed un paio di synth, tra mensole fissate all’ultimo minuto, cuscini e frigoriferi aperti a tutti, presentando quello che sarà il successore di ‘Endless Summer’. È una divinità e so bene che affermandolo finirò per ripetermi ma dovreste vederla all’opera per comprendere fino in fondo di che tipologia di artista si tratta. Quando attacca a parlare non finisce più e dietro all’immagine di una ragazza timida, introversa e un po' eccentrica si cela una musicista dal talento straordinario, una delle più belle e profonde vocalità che abbia mai sentito in tutta la mia esistenza. Ogni suo concerto è un regalo al pubblico e varrebbe la pena venire a Iceland Airwaves anche solo per lei. Mentre i Kiriyama Family si destreggiavano tra i giacconi da vento del Cintamani e Glowie faceva innamorare chissà quanti ragazzi e ragazze alla Viking Brewery, è venuto per me il momento di recarmi presso la Frikirkjan, una squisita chiesa luterana che si affaccia sul lago ghiacciato che accompagna fuori dal centro, per assistere al concerto di Bára Gísladóttir, una delle compositrici islandesi che ha saputo crescere di più nell’ultimo triennio. Con la sua viola ha omaggiato il suo background classico trasmettendo vibrazioni incredibili ai pervenuti ed anticipando alla grande quello che sarebbe poi successo al Teatro Nazionale. Ad inaugurare la serata al Pjodleikhusid, dove l’anno scorso Elvar Geir Sævarsson dei GlerAkur mi aveva mostrato segreti e ingranaggi del dietro le quinte, è stata JFDR con una formazione d’eccellenza e un riscontro da parte del pubblico che fa veramente pensare ad una consacrazione definitiva imminente. Le versioni di ‘Instant Patience’, ‘Orange delle Pascal Pinon e soprattutto ‘White Sun’ rimarranno fissate per molto tempo nella mente di ciascuno di noi. Mentre Cell7 scaldava il Kaffibarin col suo flow selvaggio, Mikael Lind e gli Hormonar davano in incandescenza rispettivamente all’Húrra, attualmente il migliore club della capitale, e al KEX. Al Pjodleikhusid sono saliti in ordine Emiliana Torrini & The Colorist e Benjamin Clementine, ripagando con due show teatrali, coinvolgenti e tecnicamente di altissimo livello i presenti che erano stati in coda per quasi due ore pur di trovare posto. A fare rumore sono stati invece gli Hatari che hanno preso possesso del Gamla Bíó, utilizzando tutte le harness a disposizione e scambiando i modelli scultorei del giorno prima con due avvenenti ballerine ricoperte di lattice e dotate di lecca lecca (non a caso Matthías Tryggvi Haraldson era spesso in prima fila con me ai set di Alvia Islandia, ndr) e i Gangly hanno innalzato la temperatura all’Iðnó di Vonastræti in attesa dei Vök. Non ho potuto seguire Futuregrapher all’Hressingarskallin e gli Úlfur Úlfur al Reykjavík Art Museum per la concomitanza con i For A Minor Reflection al Gamla Bíó ma non ho affatto rimpianto la scelta. Kjartan Holm è un chitarrista impressionante per precisione e tocco e anche gli altri membri non sono da meno. Andri Freyr Þorgeirsson per esempio ha sostituito Jóhannes Ólafsson nel migliore dei modi e l’intesa con Elvar Jón Guðmundsson è spaventosa. Che dire poi di Guðfinnur Sveinsson che si destreggia al piano ed alla sei corde distruggendo tutto quello che gli si para incontro. ‘Reistu þig Við, Sólin Er Komin Á Loft...’ resta una pietra miliare del post rock dello scorso decennio e il consiglio è quello di fare vostro ‘Live At Iceland Airwaves’ perché, nonostante la sua brevità, riesce davvero a trasmettere la furia dei loro live show. Durante la serata si sono distinti anche Mikko Joensuu, Pale Honey, la bravissima Aldous Harding, Young Karin e Glintshake ma davvero sbalorditiva è stata la prova dei A New World If You Can Take It, ragazzi di Honk Kong che amano i Deftones, lo shoegaze ed il post metal in generale. La loro proposta è quanto mai intrigante e dopo averli visti dal vivo diverse sfumature del debutto che erano rimaste in secondo piano sono emerse con gran forza. Mentre le Reykjavíkurdætur mettevano a fuoco il Reykjavík Art Museum, gli autori di ‘Figure’ hanno preso possesso dell’Iðnó mostrando a tutti, islandesi e stranieri, il motivo per cui il tour europeo è stato un successo così grande. Ormai la macchina dei Vök appare perfettamente calibrata, la voce di Margrét Rán Magnúsdóttir non si discute ed in questi tre anni la sua crescita come leader del gruppo è evidente, Einar Stef, reduce dalle battaglie degli Hatari, è attualmente il miglior drummer presente nel paese e Andri e Ólli sono tecnicamente irreprensibili. Da brividi le versioni di ‘Við Vökum’, ‘Polar’ e ‘Floating’ per una serata che ha indicato, senza ombra di dubbio, i prossimi primi della classe, dopo Kaleo e Àsgeir. Per il sottoscritto il flashback con Serravalle Rock è stato inevitabile e la conseguente passeggiata sul lago retrostante, vi assicuro a temperature glaciali, ha significato ancora di più della musica e delle liriche. Fino alle cinque del mattino ho potuto vedere, chiaro e limpido, il futuro. 

- parole di Lorenzo Becciani -

Friday Nov 3 - http://www.suffissocore.com/portal/special?id=53