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INFECTION CODE - DEFLORE

In occasione di una release speciale come il primo episodio dei Subsound Split abbiamo pensato di organizzare qualcosa di particolare e non la solita intervista che ormai un po' tutti siamo abituati a leggere sulle pagine delle riviste specializzate o delle webzine come la nostra. Ecco allora una serie di domande e risposte tra Infection Code e Deflore che si sono prestati con entusiasmo al gioco scambiandosi curiosità, sensazioni e sofferenze in un periodo storico mai così difficile per la musica sperimentale italiana. La lungimiranza di una label come Subsound – che può vantare in catalogo band del calibro di Dope Stars Inc, Epochate, Tomydeepestego e The Orange Man Theory - ma soprattutto le “menti” ed il talento che si celano dietro alle due band in questione fanno sperare in un futuro migliore. La collana di dodici pollici in edizione limitata per collezionisti presenta di volta in volta due appartenenti del panorama underground nazionale ed estero con artwork ed illustrazioni ispirate dall'interazione fantasiosa tra due personaggi cinematografici.


INFECTION CODE

Eccoci qua a parlare della realizzazione di uno split in vinile molto rumoroso. Stiamo diventando tutti dei nostalgici o siamo sempre più fissati sulla qualità dell’ascolto? Insomma, avete solo partecipato ad una iniziativa discografica?
Per quanto ci riguarda il formato vinilico ci ha sempre attirato. E’ un supporto che troppo presto fu soppiantato da altri formati ed ora sta ritornando un pò in voga, seguendo anche un po’ la moda del vintage. Come per ogni cosa esiste un ritorno di oggetti, situazioni e modi di vivere. Anche per chi fa musica e ne è appassionato e consumatore il ritorno del vinile è un ottimo viatico per ascoltare musica con un certo spessore qualitativo a livello tecnico. Il ritorno di questo formato è la risposta al consumismo sfrenato di iTunes e degli mp3. Soprattutto i giovani dovrebbero avvicinarsi ad un modo, che per loro è nuovo, di ascoltare musica. Il vinile è un ottimo strumento e poi personalmente parlando ha un fascino ed un peso artistico che il cd non possiede. Abbiamo partecipato a questa iniziativa discografica perché crediamo nel valore del vinile ed anche perché, egoisticamente parlando la cosa c’interessava parecchio. Fare del rumore insieme a voi messo su vinile. Un plauso alla Subsound records che crede in questi progetti e che con passione divulga musica pe(n)sante su supporti degni.

Come nascono i brani per la “Subsound Split Series”?
I tre brani che appaiono nella Subsound Split Series sono stati composti per l’occasione. Rappresentano la nostra naturale evoluzione verso quella completezza e totale autonomia artistica che da anni ricerchiamo. Sono la nostra personale via per sperimentare con il noise, l’industrial ed il metal più estremo. Abbiamo lavorato molto sulle tre canzoni dello split soprattutto sugli arrangiamenti. Molto è arrivato dall’elettronica, dai rumori creati dalle macchine e da lì siamo partiti per sviluppare un concept sonoro che mai come in questi pezzi ci rappresenta.

Quali sono i vostri artisti/band di riferimento? E in che modo influenzano la il vostro processo creativo?
Non è facile rispondere sostanzialmente perche’ potremmo fare un elenco di band ed artisti interminabili. Siamo, come accede in tutte le bands, persone con gusti differenti che cercano di far confluire le proprie influenze musicali e gusti in un unica corrente snora che poi dovrebbe essere il manifesto sonico degli Infection Code. Ci siamo sempre prefissati di non fermarci dinanzi ad un genere ma di andare oltre o perlomeno di provare a ricercare e sperimentare con più suoni possibili. Ti posso dire che siamo quindi attratti da tutte quelle bands che hanno fatto della sperimentazione e della ricerca il loro verbo. Gente come Neurosis, Godflesh, Atari Teenage Riot, Zeni Geva, Ministry, Nine Inch Nails ed altri ancora sono stati per noi una fonte inesauribile di idee.

L'industrial noise in Italia è un genere poco diffuso, come siete arrivati a scegliere di percorrere questa via?
Ci piace confrontarci con l'arduo ed il poco diffuso. L'industrial ed il noise lo sono. Poco diffusi e di difficile comprensione. Non ne facciamo una questione elitaria ma è una questione di spirito ed anche di passione. E' il genere più adatto a descrivere le nostre pulsioni musicali, a rappresentare le nostre emozioni e quindi, anche istintivamente ci veniva facile creare del rumore. Accostalo poi alla nostra adolescenza di metallari incalliti ed otterai un quadro poco rassicurante ma che esprime al meglio la nostra visione di musica. Inoltre l'industrial ed il noise sono i generi che danno ampio spazio alla creatività più sfrenata ed alla sperimentazione. Non devi seguire degli stilemi o schemi. Puoi essere totalmente libero di creare ma anche di distruggere.

Il vostro prossimo full length sarà in italiano. Dopo tutti questi anni sentite l’esigenza di un rapporto più diretto con l’audience del nostro paese o è una scelta stilistica?
Entrambe le cose. Volevamo provare a scrivere i testi in italiano. All'inizio, quando ho metabolizzato l'idea ero un po' scettico e spaventato. Poi ma mano che la cosa prendeva forma e sostanza mi sono sentito più coinvolto emotivamente. L'italiano mette a nudo i nostri pensieri, le nostre riflessioni ed emozioni. Con l'inglese potevi mascherare e nasconderti , anche porche’ l'audience non sempre percepisce il messaggio lirico. Con l'italiano abbiamo voluto fare un passo avanti in questa direzione. E' un lavoraccio a livello di metrica ma sta venendo fuori qualcosa di originale.

Ci parlate del recente cambio di line-up?
E' stato un cambio un po' drastico e non ce l'aspettavamo. Sostanzialmente il nostro vecchio chitarrista non se le più sentita e non credeva più in quello che facevamo. Avevamo appena registrato i pezzi dello split. E' stato subito uno shock. Lo abbiamo metabolizzato anche grazie ad un colpo di fortuna. Infatti in brevissimo tempo siamo riusciti a trovare una persona motivata, che aveva voglia di sperimentare e che credeva ne progetto. Paolo in dieci giorni si è imparato tutta la nostra scaletta ed ha esordito neanche dopo un mese dalla sua entrata in un concerto. Ci ha stupito la sua professionalità e conoscenza ed anche la voglia di fare cose un po' fuori dai suoi canoni. Ha portato un sacco di idee che sono andate a confluire sui nuovi pezzi ma anche tanto entusiasmo. Siamo più forti di prima.

Da sempre la vostra musica è caratterizzata dalla presenza di elementi di elettronica e noise che si affiancano agli strumenti più “tradizionali” dell’arsenale metal hardcore. Dobbiamo aspettarci che questo equilibrio rimanga inalterato nel prossimo futuro o qualcosa sta cambiando?
Sicuramente l'elettronica è sempre stata una parte fondamentale nella nostra identità. Non saremo gli Infection Code senza l'apporto di synth, rumori e tastiere. Dai nostri esordi le cose sono un po' cambiate. La componente rumoristica è diventata sempre più una presenza imprescindibile nell' economia dei pezzi e questo è dovuto alla grande creatività di Enrico che è un generatore di idee inesauribile. Anche nel prossimo futuro, gli strumenti tradizionali rimarranno ma supporteranno l'elettronica che diventerà sempre più al centro dell' attenzione. Senza perdere quell'attitudine e quel gusto puramente di band hardcore e punk.

Qual è l’idea di fondo che caratterizza gli Infection Code? Esiste un fine ultimo del vostro essere musicisti, o è solo una condizione alternativa dell’esistenza?
Non so se esiste un fine ultimo nell'essere in una band che fa musica di confine. Abbiamo un' urgenza di esprimerci. Una sorta di missione per tirare fuori le nostre emozioni e stati d’animo che solo con la musica riusciamo a rappresentare. Che poi siano sempre rappresentazioni totalizzanti verso l’oscuro, l’estremo e l’ignoto non ne conosciamo la ragione. E’ istinto, attitudine e soprattutto passione.

Dopo tanti anni di resistenza “armata” passati a muoversi sul fondo e nei meandri più oscuri del sottobosco underground della scena italiana (ammesso che questa scena ancora esista o sia mai esistita..), cosa ancora vi spinge a continuare con tutta questa determinazione?
Tutto questo si ricollega alla risposta precedente. Fino a chè avremo qualcosa da dire che sentiamo dentro continueremo su questa strada. Le vicissitudini di un ‘esistenza non ci fermeranno. Continueremo a comporre musica. Per noi stessi, verso noi stessi e solo per noi.

La lotta continua?
Mai come in questo periodo storico d’impoverimento culturale e musicale, continuerà. La nostra lotta e di tutti quelli che hanno passione e sangue.

DEFLORE

Da dove arrivano le canzoni contenute nello split? E dove vogliono arrivare?
Da tutta la miriade di idee, suoni, sogni, distorsioni che ci ossessionano da più di dodici anni! Sostanzialmente, come tutto quello che facciamo in ambito musicale, emanano direttamente dal flusso della nostra coscienza! E poi sono il nostro modo di migliorare, spostando il nostro limite sempre un po’ più in là cambiando il nostro orizzonte, anche se di poco, ma continuamente.

Molti vi considerano un po’ i Godflesh italiani. Quanto vi piace e quanto vi dà fastidio questo paragone?
Fastidio proprio no. Considerando che i Godflesh rappresentano una band seminale per tutto un certo tipo di suono ancora molto attuale direi che il paragone ci lusinga. Questo non toglie che per noi le similitudini si fermano però all’utilizzo di ritmiche sintetiche e ad una certa attitudine alla pesantezza del suono: il nostro “immaginario” è decisamente diverso.

La vostra particolarità oltre alla proposta totalmente strumentale è quella di fare musica cinematografica? È una mia folle considerazione o qualcosa di vero esiste?
In un certo senso hai ragione: le composizioni strumentali, e quindi anche la nostra musica, sono per loro natura evocative, cioè richiamare alla mente tutta una serie di immagini e situazioni ed è quello che noi pensiamo di fare molto bene. Più di una volta abbiamo pensato di “musicare” un classico del cinema sperimentale (alla Lynch/Tarkovskij per dire…) ma il tempo è stato sempre tiranno. Diciamo che alcune nostre composizioni, edite e non, possono essere considerate l’immaginaria colonna sonora di un film ancora da girare!

Quanto è difficile essere italiani in Italia facendo musica di confine?
Potreste rispondere voi per noi! E’ difficilissimo in un paese “piccolo” e tradizionalista come il nostro, dove la mancanza di una vera attitudine culturale in senso ampio peggiora le cose. Per fortuna o sfortuna siamo molto convinti di quello che facciamo, e la nostra sicurezza è che alla lunga una proposta di qualità come pensiamo sia la nostra, debba necessariamente emergere o comunque avere la visibilità e il riscontro che secondo noi merita, anche in questa italietta.

Quanto è difficile essere italiani all’estero e fare musica che può avere più seguito?
Beh, visto che ci siamo incarogniti a restare qui non sapremmo dirti. E’ certo però che, in paesi culturalmente più avanzati, anche una proposta obliqua come la nostra può intercettare più facilmente l’interesse di molti però di fatto abbiamo scelto di restare e lottare in questo paese.

Come è nato il vostro rapporto con la Subsound Records. Ormai sono anni che siete con loro?
Probabilmente se non fossero esistiti i Deflore non ci sarebbe stata la Subsound Records. Davide è prima di tutto per noi un amico che ci segue dagli inizi più che un producer. La sua idea è stata quella di fondare un’etichetta che si occupasse di musica “difficile” e di confine, ed ha iniziato con noi producendo la nostra prima release, “hUMAN indu[B]strial”, poi ha chiaramente allargato il suo raggio d’azione a molte altre band interessanti del panorama italiano. E' difficile immaginare Deflore al di fuori di questo connubio. Quella degli split è una bellissima iniziativa perché consente, da una parte, una sorta di collaborazione tra band, e dall’altra di offrire su un bel supporto la produzione di realtà musicali differenti e non necessariamente collegate tra di loro.

Il supporto vinilico sta riacquistando fascino e forse un po’ di mercato. Come vi rapportate da consumatori e da musicisti con questo supporto?
Nell’era del digitale immateriale era ovvio che prima o poi si sarebbe tornati al culto dell’oggetto vinile. Ormai in un mercato discografico “materiale” asfittico come quello odierno ci piace pensare che mettere a disposizione un oggetto musicale bello da tenere tra le mani, da conservare gelosamente per non rovinarlo, da far vedere e ascoltare agli amici, sia un modo di ridare “valore” a quello che tante bands fanno tutti i giorni da anni, e cioè fornire la colonna sonora delle nostre esistenze. Dare qualcosa che richiede un ruolo attivo da parte dell’ascoltatore ci sembra di vitale importanza per valorizzare quello che facciamo. Tutti oramai usiamo il digitale, però vuoi mettere la soddisfazione di mettere un disco sul piatto, sentire la testina che cerca il suono mentre ci beviamo un bel bicchiere di vino sdraiati sul divano! E soprattutto sentire tutto il disco, e non brani a casaccio di artisti diversi e solo come sottofondo…

Le canzoni dello split rispetto ai vostri precedenti lavori hanno un qualcosa di sporco, quasi sludge, più che altro nell’intenzione di ogni pezzo.
Sicuramente è così'. I pezzi sono stati composti per questo split, e volevamo che avessero un filo conduttore ben preciso essendo solo tre. Abbiamo sempre pensato alla nostra musica come se fosse il risultato di sovrapposizioni, incroci, melting pot sonori, distruzioni e ricostruzioni. Il caso ha voluto che tra le nostre tante “anime” fosse questa, quella che avrebbe caratterizzato la nuova release.

Come è la scena romana in questo momento?
A Roma non c’è una scena, solo alcuni gruppi e situazioni interessanti, niente più.

Vi sentite più Tetsuo o The Elephant man?
Ovviamente più Tetsuo, sono anni che cerchiamo di realizzare la fusione uomo-macchina!

I cantanti sono noiosi?
Più che noiosi ci rompono le palle! In realtà prima del nostro debutto ufficiale abbiamo avuto una fase a tre, con un cantante “fabbro” (usava trapani e ferraglia amplificata per aggiungere altro rumore!) ma, alla fine, è la musica che ci interessa. Concentrarci solo su questo ci ha permesso di sviluppare negli anni l’aspetto evocativo ed emozionale della nostra musica, senza rendere necessario l’utilizzo della voce. I cantanti purtroppo sono spesso un po’ come i chitarristi “virtuosi”, affollano un po’ troppo la scena ed i brani e questo, data anche l’attenzione maniacale che mettiamo nel realizzare ogni nostro singolo suono, non è consono a quello che noi stessi ci prefiggiamo di ottenere come Deflore . Ci sono cantanti fantastici in tantissime realtà musicali ma vogliamo che resti un progetto puramente strumentale.