-Core
Augustine
Italia
Pubblicato il 18/04/2021 da Lorenzo Becciani

Come nasce Augustine? Qual è la linea di separazione tra Augustine e Sara?
Faccio risalire l’origine di Augustine al mio primo “album” autoprodotto, 'One Thin Line', del 2010, anche se ancora allora non avevo ancora scelto quel nome. La musica e l’arte in generale sono sempre state per me una questione identitaria. Io SONO ciò che faccio. Non c’è dunque una vera separazione. Esiste, semmai, un filtro – l’identificazione con Augustine, un personaggio incontrato durante la lettura del saggio di Georges Didi-Huberman L’invenzione dell’isteria –, che mi permette di spostare me stessa in un luogo parallelo a quello della vita, non coincidente. Sara non può che essere un soggetto; Augustine è un soggetto ed un oggetto, contemporaneamente. È l’immagine che mi guarda dall’autoritratto che ho dipinto. 

Cosa ti ha affascinato del mito di Proserpina? Perché pensi che sia ancora attuale?
Ogni mito è attuale, proprio perché “fuori dal tempo”. Perdere il senso del mito vuol dire essere perduti. Nel mio caso, l’identificazione con qualche figura femminile appartenente al mito o alla letteratura è un processo del tutto spontaneo. Nel periodo in cui stavo componendo i brani che poi sono diventati le tracce del disco, mi accorgevo che erano tutti accomunati da un senso di reclusione, di prigionia, che provenivano tutti – o forse tutti si dirigevano verso – un luogo oscuro. La figura che mi si affacciava alla mente era il quadro di Dante Gabriel Rossetti Proserpina, nel quale la dea guarda fugacemente verso una fenditura momentaneamente apertasi alle porte dell’Ade. In poche parole, non sono stata io a scegliere Proserpina, è stata lei a prendermi. 

Cosa volevi cambiare o migliorare dopo ‘Grief And Desire’?
Mi rendevo perfettamente conto dei molti limiti di 'Grief And Desire', che forse si possono sintetizzare in una parola: solitudine. Per la realizzazione di quell’album mi ero ostinata a voler fare tutto da sola, in casa, con i pochi mezzi che ho a disposizione, dalla registrazione delle tracce alla pubblicazione e alla promozione. I nuovi brani chiamavano da sé altre necessità, che non potevo soddisfare senza l’aiuto di altre persone: amici, musicisti, professionisti.  

Quando hai cominciato a comporre i nuovi brani? E’ stato un processo arduo?
La composizione non è mai un processo arduo, è la parte del lavoro che preferisco. È avvenuta in un momento davvero brutto della mia vita – un periodo abbastanza breve, tra il 2017 e il 2018 – che è stata però una stagione artistica straordinaria, di grandissima fertilità. Avevo la sensazione che stavo scrivendo i miei lavori migliori e ogni nuova canzone mi pareva superasse la precedente. Erano tutte legate, si infilavano tutte nello stesso filo come perle, una dopo l’altra. 

Cosa ti sei posta di ottenere con Fabio Ripanucci e Daniele Rotella in termini di produzione?
Fabio e Daniele sono proprio le persone che mi hanno aiutato in quella “apertura” che i nuovi brani chiedevano. Da loro ho preteso in primis – sapendo di poterlo fare – una comprensione totale di intenti e contenuti. In sostanza volevo mi aiutassero a dare la migliore valorizzazione alle mie idee, che erano già delle idee molto strutturate. In particolare, il contributo di Fabio è stato fondamentale per il suono ed il colore che l’album ha acquisito. Grazie a lui mi sono liberata di alcuni cliché sonori che caratterizzavano il lavoro precedente. Abbiamo cercato insieme, talvolta litigando, una nuova voce per Proserpina. Daniele è stato invece un supervisore tecnico attento e paziente, che ha a volte limato alcune nostre stravaganze. 

La componente teatrale è evidente, sia nella musica che nei videoclip che la promuovono. Quando componi pensi già a come raffigurare il pezzo dal punto di vista visivo e teatrale oppure tale trasposizione avviene in seguito?
Preferisco parlare di una componente “visiva”, perché devo confessare che il teatro non è tra le mie frequentazioni. D’altro canto, la mia formazione artistica è stata principalmente visiva e forse è proprio questo il motivo per cui ogni mio lavoro musicale nasce sempre contestualmente ad un preciso immaginario: ho sempre in mente un qualche quadro, già esistente oppure ancora da dipingere. I videoclip sono certamente un terreno fertilissimo sul quale dare spazio all’espressione di queste visioni. 

In quest’album le atmosfere sono spesso vicine al dark-folk. Quali sono le tue influenze in tale ambito sonoro?
Ho sempre enormi difficoltà ad incasellare la musica – che sia mia o che sia altrui – in qualche definizione, dunque lascio che siano gli altri a trovarle. Indubbiamente qui si sente forte e chiaro il mio amore per i Dead Can Dance. Potremmo forse citare Death in June, ma per il resto le mie influenze musicali difficilmente rispondono a quel genere:Agnes Obel è un altro nome che possiamo fare, ma è molto folk e poco dark; vocalmente non posso non citare Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins, più dark ma affatto folk; per i cori potremmo addirittura parlare di Julianna Barwick, che non è né l’una né l’altra cosa. Insomma, una cosa è la musica che ascolto; un’altra è quella che faccio, semplicemente perché sono stati i brani stessi – l’intera idea omogenea di album – a chiedermi di attuare determinate scelte e a portarmi in una direzione non prevista, in luogo che può persino essermi estraneo.

Hai anticipato l’uscita dell’album con ‘Pagan’ e ‘Anemones’. Perchè proprio queste due tracce?
'Pagan' e 'Anemones' ben rappresentano le due facce di 'Proserpine': l’una oscura e l’altra più solare. La divinità stessa, secondo il mito, è caratterizzata da una dualità, essendo allo stesso tempo dea degli inferi e dea legata alla primavera e alle messi. Morte e rinascita sono i due momenti del mito, così come del mio album. 

Quali sono le altre tracce chiave della release a tuo parere?
'Pomegranate' è il momento fatale: l’assaggio di quel frutto condanna Proserpina agli inferi ed il brano apre subito ad una prospettiva di inesorabilità, costante in tutto l’album. 'The Dark Place' è in un certo senso il cuore oscuro di tutto il lavoro, una dichiarazione di appartenenza ad un altrove.

Come è nato il rapporto con Francesco Biccheri? Qual è il video che più ti ha colpito? È stato complicato girarli? 
Conobbi Francesco all’Accademia di Belle Arti di Perugia. Frequentavamo entrambi il corso di pittura del prof. Sauro Cardinali, ma quando io entrai al primo anno, lui era in procinto di laurearsi. Lo vedevo come un mito, un genio irraggiungibile. Tant’è che ero terrorizzata all’idea di contattarlo, nel 2017, quando pensai a lui come al possibile regista del mio primo video Augustine. Ma Francesco accettò volentieri e nacque da lì un sodalizio artistico indissolubile, oltre che una salda, profonda amicizia. Tutte le nostre creature sono amate allo stesso modo, ciascuna di loro ha le sue peculiarità; ogni video ci ha portato a lavorare in modo diverso, ogni volta ci sono state nuove idee, nuove soluzioni da trovare, problemi da risolvere, imprevisti e soddisfazioni colossali. Le cose belle non sono mai facili, anche se semplici nella loro apparenza. Girarli è sempre un’avventura, ma ricordo ogni singolo giorno di riprese come un giorno di gioia assoluta.  

Oltre che piena di talento, sei anche molto bella. È vero che le dee sono praticamente perfette ma.. hai anche qualche difetto?
Ringrazio per i bei complimenti, ma non mi sono mai considerata bella. Né particolarmente talentuosa. Ho un rapporto abbastanza conflittuale con me stessa. Sono un condensato di difetti fisici, caratterialmente poi non ne parliamo. Devo dire però che la perfezione mi spaventa. La perfezione è una condanna che la società, la cultura, l’educazione stessa impongono a noi donne. Ci sia aspetta sempre che una donna debba essere perfetta. Definizioni come “etereo” o “purezza” le trovo molto pericolose perché, oltre a stigmatizzare il femminile, mirano a renderlo innocuo, a depotenziarlo. Spero che la mia musica sia tutt’altro che innocua; e mi piace pensare di essere come la natura del gotico di Ruskin, “spuria”. 

Quanto sono importanti il look e l’immagine per te? Dove trovi i costumi di scena? 
L’apparire di un artista è certamente una questione molto importante, ma la nostra epoca fa un po’ di confusione. L’immagine non è un’ancella della comunicazione. Tutto il contrario. 
Sento l’esigenza di una trasformazione, quando suono. Per questo mi piace acconciarmi i capelli con gli aculei di istrice, ai concerti. È come un abito di scena e serve, semmai, a sottrarsi all’ambito della comunicazione, del quotidiano, per conferirsi un aspetto “altro”, alterato, che traccia intorno a sé un cerchio di sacralità ed invita ad una ritualità della quale il pubblico è partecipe. Mi piace costruirmi un’immagine, ogni volta diversa, nei miei video. I costumi sono generalmente molto semplici (quasi sempre autoprodotti con l’aiuto di qualche amica o amico più competente di me), ma vogliono sempre rispecchiare nel miglior modo possibile l’idea originaria di una visione. 

Punti maggiormente sul mercato italiano oppure su quello estero? Hai già avuto esperienze al di fuori dei nostri confini? 
Non ho mire, né particolari aspettative riguardo un qualche specifico “mercato”. Credo, indubbiamente, che all’estero la mia musica possa trovare più estimatori, non solamente perché scrivo i testi in inglese, ma proprio per questioni di sonorità, modalità canore e compositive che in Italia sono percepite come aliene. In effetti, la maggioranza dei miei ascoltatori non sono italiani e ultimamente ho delle collaborazioni attive con artisti e musicisti stranieri. La stampa estera però, finora, è sembrata piuttosto indifferente, al contrario di quanto sta avvenendo in Italia. Vediamo cosa succede con 'Proserpine'!

Quali sono i dischi che hai ascoltato di più in quest’anno di pandemia? 
La pandemia non ha modificato in alcun modo le mie abitudini di ascoltatrice. Continuo ad ascoltare ciò che ho sempre ascoltato. Posso dirti tre album che ho senz’altro ascoltato spesso nell’ultimo anno e che hanno accompagnato il periodo di lavoro in studio su 'Proserpine': 'Dionysus' dei Dead Can Dance, 'Burial' di Death in June e 'Ghosteen' di Nick Cave & The Bad Seeds.

(parole di Sara Baggini)

Augustine
From Italia

Discography
One Thin Line 2010
Grief and Desire 2018
Prosperine 2021