-Core
La Gabbia
Italia
Pubblicato il 19/03/2020 da Lorenzo Becciani

Chi è Madre Nostra?
“Madre Nostra” è pure “vostra” e si chiama “Umanità”. Uno straordinario mix di sentimenti e conflittualità, di vuoti che non vogliamo accettare e soluzioni che non vogliamo vedere, perché generalmente non siamo disposti a farlo. Questo disco è allo stesso tempo un dipinto di ciò che siamo tutti e un invito ad accogliere la nostra umanità passando attraverso urla e sussurri.

Parlare di “gabbie” nel mondo attuale può sembrare strano ma invece è tremendamente attuale. Qual è la peggiore gabbia in cui vi siete sentiti intrappolati?
Siamo da tempo convinti che quella comunicativa sia la peggiore delle gabbie e che, forse, in un certo senso sia “la gabbia delle gabbie”. Facciamo tutti una fatica tremenda a passare ogni volta in mezzo a sbarre strette per poterci dire le cose importanti e spesso preferiamo l’immobilità allo sforzo necessario per toccarci. Lo dicevamo anche all’interno del nostro primo EP “Bruciare Vivo” nel brano “Toccami” che parla proprio di questo: “Rinchiuso che fretta hai di sapere quando verranno a prenderti? Ogni sbarra una verità che compone la tua gabbia…”

E la soluzione per uscirne?
Il brano continua con: “La tua prigione, la soluzione… La tua prigione è la soluzione”. E infatti è così. Quelle consapevolezze e quelle verità che profondamente ti appartengono e che credi siano uno scoglio, in realtà sono un ponte. Ci dimentichiamo sempre che il nostro essere umani ci lega indissolubilmente l’uno all’altro e ci da un codice di lettura che ci permette di capirci e di comprenderci perché infondo è un pò come guardarsi allo specchio. Non bisogna aver paura di urlare o piangere: chi hai davanti riconoscerà nel tuo urlo la sua rabbia e nel tuo pianto la sua tristezza.

All’interno del digipack appare la scritta “violenza”. Cosa sta a significare? É un monito verso qualcuno?
Come in quasi tutti i brani che compongono il nostro disco ci stanno più chiavi di lettura, più punti di vista. Il primo, il più diretto, è probabilmente l’intento visceralmente pacifista e, sì, di conseguenza ben venga che sia un monito verso chiunque pratichi violenza di qualsiasi genere (purtroppo le tipologie sono moltissime). Il secondo punto, quello più interessante secondo noi da esaminare, è l’accettazione interiore della “violenza” come parte integrante dell’essere umano e la lotta interiore che ne consegue fatta di battaglie perse e battaglie vinte. Uno scontro che dura tutta la vita come la lotta madre - figlio: “Violenza sei madre nostra ma non ci hai mai riconosciuto”.

Di cosa parlano i vostri testi? Nascono prima o dopo la parte strumentale?
Non esiste una regola in realtà, né sulle tematiche né sull’ordine di costruzione del brano.
A volte un testo ha ragione di esistere prima della musica e viene poi musicato cercando di fare in modo che la musica sia il veicolo perfetto per il pilota, altre volte da una jam in sala prove nasce un riff o un groove dal quale poi scaturisce un testo che arriva solo dopo, anche dopo la melodia spesso.

Nello specifico di cosa tratta ‘Memorie di una prostituta’?
“Memorie di una prostituta” è il brano più cantautorale del disco. Racconta una storia, la storia di Elena, una donna che porta un messaggio potente tra tragedia e riscatto, amore e violenza. Probabilmente la storia di moltissime donne, quindi una faccia di “Madre Nostra” che non poteva assolutamente mancare nel nostro lavoro. Nello specifico Elena è una prostituta che dopo aver vissuto l’inferno ha trovato l’amore della sua vita e la normalità di una vita serena, “una macchina tutta sua e una vacanza in Francia una volta all’anno”, con tutto ciò che per una vita le era stato negato ma con cicatrici profonde che rimarranno per sempre: “la morte è per sempre”… Quando si muore una volta dentro, si muore un pò per sempre.

Quando avete cominciato a comporre le tracce per l’album? É stato un processo complicato?
Sicuramente è stato complicato. Non lo è stato per tutti i brani (alcuni sono stati scritti dall’inizio alla fine anche in una sola prova tra il 2018 e il 2019) ma lo è stato. Alcuni brani ce li portiamo dietro dal 2016, li abbiamo chiusi e riaperti un milione di volte come ad esempio “La luna e i falò”, “La fine e l’inizio di una vita” e “Agrabah” (che fu, per fortuna, la grande esclusa dal primo EP). In alcuni casi non eravamo mai contenti. Ora lo siamo, finalmente.

Dove lo avete registrato? Che tipo di sound desideravate ottenere?
Abbiamo registrato da Edac Studio insieme ad una coppia potentissima: Davide Lasala e Andrea Fognini. Volevamo un sound anni ’90 e abbiamo sfondato una porta aperta con i ragazzi. La settimana di permanenza a Fino Mornasco è stata molto produttiva ed il tempo è volato. Il rapporto che si è creato ha superato quello professionale e alla fine siamo usciti con l’etichetta di Davide “You Can’t Records” a cui ci siamo affidati anche per la stampa dei dischi. Il team è stato completato poi da Fleisch Ufficio Stampa (per noi è un onore lavorare con loro) e da Ditto Music che ci ha distribuiti a livello digitale ovunque.

Vi siete ispirati a qualche album in particolare in termini di produzione o mixaggio?
Per il mix dovresti chiedere proprio a Davide e Andrea. Ci siamo molto affidati a loro per la produzione dei suoni e il mixaggio (anche se ci sentivamo sempre in ogni fase del lavoro successivamente alla registrazione). I dischi di riferimento sono difficili da individuare. “Songs For The Deaf” dei Queens Of The Stone Age se vogliamo puntare fuori dalla penisola, “Per un passato migliore” dei Ministri se vogliamo giocare in casa. Magari un giorno lavoreremo ad un bestiario per infilarceli tutti: ascoltiamo tutti e quattro tantissima roba dei generi più disparati.

Cosa vi piace di Cesare Pavese?
Tutto. Cioè sia la prosa che la poesia di Pavese sono un dono eterno fatto al mondo intero (tanto per stare leggeri con i complimenti). Il suo ultimo libro “La luna e i falò” ci ha ispirato questo brano che ha una storia assurda. Stavamo jammando in sala prove nel lontano autunno 2016 ed io (Michele, il cantante) stavo leggendo Pavese proprio in quel periodo. Così mosso da un pò di sana curiosità ho iniziato a cantare delle frasi sconnesse tratte dal libro (“La luna e i falò”, appunto) che mi piacevano sopra la musica suonata dal resto della band ed è uscito qualcosa di molto interessante. La sera stessa a casa, ascoltando le registrazioni, mi sono messo subito al lavoro sul libro per costruire un percorso testuale (fatto di frasi del libro e frasi inedite mischiate) che generasse le stesse suggestioni del libro e richiamasse la stessa potenza emotiva. Terra, radici, nostalgia, uguaglianza della carne, l’intima essenza dell’uomo: volevo creare un dipinto bucolico che scaldasse il cuore con la malinconia ma che soprattutto ci ricordasse quanto è vitale per l’uomo poter chiamare un posto, un qualsiasi posto, “casa”. Tutti dovrebbero leggere Pavese.

Il termine indie rock vi si addice?
Preferiamo di gran lunga “alternative rock”, se pensiamo ad alcune cose che rientrano nella squadra “indie rock” ci prende male parecchio. Il migliore è quello coniato da noi: “aggressive pop”. Alla fine sono canzoni che appartengono a tutti, perché parlano di tutti, solo che a volte pestiamo forte e siamo cattivi nell’intenzione, quindi, ecco perché “aggressive”.

Qual è la band con cui avete suonato che vi ha impressionato di più?
Sono abbastanza sicuro che la risposta tra noi quattro non sia univoca. Abbiamo aperto concerti assurdi come quello di Motta al Meeting del Mare, quello de “I Ministri” al Suoni di Marca di Treviso o quello dei Fast Animals And Slow Kids al Frogstock di Riolo Terme. Allo stesso tempo abbiamo condiviso il palco con tanti altri emergenti che dal vivo sono fortissimi. Difficilissimo scegliere tra i vari… Forse Motta ha lo spettacolo più completo dal vivo. A me in particolare piace il “Motta” più cattivo e dalle sonorità più cupe: il momento del concerto in cui lui e la sua super band suonano “Roma stasera” è veramente potente. Comunicativo, appunto. E’ quello che cerchiamo di fare.

La Gabbia
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Discography
Madre Nostra - 2019