-Core
Une Misère
Islanda
Pubblicato il 21/11/2019 da Lorenzo Becciani

L’intervista che leggete è stata effettuata due settimane fa, durante l’ultima edizione di Iceland Airwaves, nel delizioso Prikið, un pub nel centro di Reykjavík che rappresenta un punto di riferimento per la comunità hip hop e r&b islandese. Un locale che in passato ha ospitato le riprese del video di 'Sugar Complex' di Alvia Islandia, con tanto di macchina dello zucchero filato, festini di dubbia natura, concerti e dj set. Stavolta l’atmosfera è stata invece molto rilassata e, davanti ad una tazza di tè bollente, ho potuto analizzare assieme al frontman Jón Már Ásbjörnsson tutti i dettagli riguardanti l’uscita di uno degli album dell’anno.

La prima volta che abbiamo parlato eravate così giovani e incerti sul futuro. Adesso siete sotto contratto con Nuclear Blast e ‘Sermon’ ha appena raggiunto i negozi..
È vero! Quando ci siamo incontrati la prima volta avevamo cominciato da poco questa avventura, sapevamo bene quello che volevamo ma non sapevamo assolutamente come ottenerlo. È bello rivederti dopo tutto quello che è successo.

Immagino che abbiate lavorato duro per arrivare a questo momento. È stato un processo complicato?
Fino all’anno passato non ci siamo concentrati totalmente sulla realizzazione dell’album ma quasi tutto il materiale proviene da idee precedenti. A dire la verità il processo non è stato troppo difficile. Siamo entrati in studio e da un paio di riff è nata la prima canzone e così i giorni successivi. Il periodo più lungo è stato quello in cui abbiamo dovuto pianificare tutti i dettagli perché collimassero nel modo migliore.

Avevate una visione precisa di come avrebbe dovuto suonare l’album?
Probabilmente ce l’aveva ognuno di noi ma ciascun membro ha una grande personalità e idee diverse. Siamo dovuti scendere a compromessi, io ho lasciato qualcosa, Fannar qualcos’altro, Gunnar qualcos’altro e così via. Gli Une Misère sono nati dalle ceneri di tre diversi gruppi hardcore ma lavoriamo bene insieme. Di sicuro condividiamo l’idea del genere da suonare e dell’immagine che deve avere la band.

Com’è nato il contatto con Nuclear Blast?
È stato Simon Füllemann a metterci in contatto con l’etichetta. È uno degli uomini più intelligenti che conosca e lo chiamerei babbo se me lo permettesse. Stavamo cercando un contratto e avevamo preso dei contatti con un paio di etichette ma quando ne abbiamo discusso con Simon lui ci ha detto che avremmo dovuto puntare più in alto. Dopo tre settimane ci ha detto che Nuclear Blast era interessata al gruppo. All’inizio abbiamo pensato ad uno scherzo, in fondo si tratta dell’etichetta degli Hatebreed! Poi la cosa si è realizzata sul serio e ci hanno fatto un ottimo contratto. Puntano su di noi e hanno seguito tutti i dettagli dell’uscita in maniera maniacale. Sono stati loro a suggerirci di collaborare con Niklas Sundin per l’artwork e sono ancora abbastanza stranito di quanto quell’immagine così brillante si adatti al concept dell’album.

Nella recensione ho definito ‘Sermon’ come il disco di metal e hardcore più fresco pubblicato da Nuclear Blast dai tempi di ‘Welcame’. Non è facile ottenere un suono tanto unico al primo album.
Questo lo dobbiamo principalmente a Sky van Hoof che è davvero un fenomeno. Non ho mai ascoltato così tanto una band come i Rammstein e quando Simon ci ha suggerito di lavorare con lui sono rimasto a bocca aperta. È il suono che avevamo in mente ma molto più dettagliato. Attraverso le varie fasi del processo è diventato sempre più gigantesco.

Il vostro stile deve molto all’hardcore anni novanta ma sfocia spesso anche nel black. Siete influenzati dalla scena black islandese?
Non proprio e devo dire nemmeno da quella norvegese. Il mio gruppo black preferito sono i Der Weg Einer Freiheit. Amo quel sound oscuro che assorbe completamente l’ascoltatore. Molto più che Misþyrming e Darkthrone. Ci piacciono anche gruppi post-black come i Deafheaven e credo si possa sentire in ‘Fallen Eyes’. Nel complesso siamo aperti a qualunque genere, anche a contaminazioni con l’elettronica, la deep house o il pop moderno per esempio, perché possano creare un twist che ben si addice ai nostri testi.

Perché ‘Sermon’?
Non c’è niente di religioso nel titolo. É un simbolo di celebrazione, di incontro. Un modo per far venire le persone attorno a me e dire loro in faccia com’è la vita. Nelle liriche parlo di miseria, sofferenza, sentirsi fuori dal mondo e stare male fino a rischiare di morire. Quello che desidero celebrare è che nella vita non va tutto bene, ogni giorno non è perfetto come le foto su Instagram, ma il fatto che sia ancora qui a raccontare ciò che mi è successo è positivo. La storia di droga che mi riguarda non è solo mia ma nostra. Solo il cielo è il limite quando siamo insieme.

Sarà difficile scrivere i prossimi testi dopo un concept del genere.
Abbiamo già scritto qualcosa. Posso assicurarti che il nuovo album sarà ancora più arrabbiato.

La tua voce ricorda quella di Corey Taylor. Qual è il periodo degli Slipknot che ami di più?
Naturalmente amo il primo album e dal punto di vista vocale mi relaziono con quel periodo. Ritengo ‘IOWA’ il disco più oscuro mai scritto in quel genere. Non mi è piaciuto ‘.5: The Gray Chapter’ perché è troppo duro dal punto di vista emozionale mentre ho apprezzato molto l’ultimo lavoro. ‘Nero Forte’ è un pezzo grandioso.

La prima volta che ci siamo visti avevate appena pubblicato la musicassetta ‘010717’. Qual è il vostro formato preferito?
Sicuramente il vinile. Per ‘Sermon’ abbiamo pensato ad un’edizione nera regolare, una con schizzi dorati ed un’altra con vortici color ossa.

Qual è la tua opinione sulla nuova organizzazione che sta dietro a Iceland Airwaves?
Stanno facendo il massimo per mantenere il festival ad alti livelli. Per noi è importantissimo e siamo disponibili a qualsiasi soluzione pur di salvaguardarlo. Una soluzione potrebbe essere focalizzarsi ancora di più sulla scena locale. Di sicuro ricordo alcune passate edizioni durante le quali facevi fatica a camminare nel centro di Reykjavík. L’Harpa era invasa e l’atmosfera era bellissima.

Il vostro concerto al Reykjavík Art Museum è stato epico. Dovete ancora esibirvi all’Hard Rock Cafè. Cosa dobbiamo aspettarci? Sinceramente vorrei tornare vivo a casa..
Prometto che ti terrò un posto oltre la transenna. Sarà un massacro e ti giuro che se alla fine dello show staranno tutti bene sarò molto deluso. Per il Reykjavík Art Museum abbiamo pensato ad un concerto in piena regola mentre per l’Hard Rock Cafè opteremo per quello che noi chiamiamo “fight set”. Niente canzoni lente o malinconiche, solo pugni in faccia dall’inizio alla fine. Per la prima volta suoneremo ‘Spiral’, una delle tracce più violente di ‘Sermon’, e non vedo l’ora che cominci.

Quali sono i vostri piani dopo il festival?
Abbiamo fissato un tour con Darkest Hour, Fallujah e Bloodlet poi ne annunceremo a breve un altro molto grosso. Dopo l’Impericon Tour ci dedicheremo ai festival estivi per cui stiamo già prendendo informazioni. Non credo che passeremo tanto tempo in Islanda il prossimo anno.

 

Une Misère
From Islanda

Discography
010717 - 2017
Sermon - 2019