-Core
Pieralberto Valli
Italia
Pubblicato il 23/02/2017 da Lorenzo Becciani

Come ti confronti con la scena italiana?
Non mi pongo il problema e non mi guardo troppo attorno. Seguo quello che succede ma negli ultimi anni mi è arrivato davvero poco. Di recente ho apprezzato Unepassante e Vil Rouge ma i dischi che vanno per la maggiore ovvero Calcutta, I Cani e Thegiornalisti non mi ispirano. Nel nostro paese da qualche anno tutto quello che prima faceva vergognare i cosiddetti artisti impegnati adesso non rappresenta più un problema. Mi sembrano dischi scritti per svoltare oggi e basta. Personalmente sono legato ad altri ascolti come Radiohead, Talk Talk, il trip hop di Bristol. So bene che la mia musica non è di moda ma questo è ciò che mi esce e non potrei fare diversamente.

Come sei passato dai Santo Barbaro al percorso solista?
Sono sincero, per me i Santo Barbaro erano finiti al terzo album. Umanamente siamo ancora vicini, ci sentiamo ancora e abbiamo ottimi rapporti ma il nostro percorso musicale si è concluso con ‘Navi’. Quello è senza dubbio il nostro album migliore e quello in cui abbiamo investito più tempo, circa due anni di lavorazione. Purtroppo è stato riconosciuto a distanza di tre anni e ‘Geografia Di Un Corpo’ è stato pensato per chiudere in bellezza. Dopo avere lavorato ad ogni singolo suono e curato le sfumature nei dettagli abbiamo deciso di registrare un album in soli tre giorni. L’aspetto curioso è che l’album è andato molto bene. A quel punto avevo bisogno di pensare ad altro anche se comunque ‘Atlas’ è stato arrangiato con Franco Naddei. In questo caso però ho fatto tutto io ed i pezzi erano già pronti quando l’ho raggiunto in studio. Avevo solo necessità di un fonico e di un arrangiatore per chiudere certe cose.

Anche pubblicare il romanzo ‘Finché C’è Vita’ ha influenzato il processo di scrittura?
Ho sempre scritto molto perché agevola il mio processo per arrivare al testo. Per questo le mie liriche sono enigmatiche o sintetiche. In realtà rimandano a qualcosa di più esteso che non c’è più o che comunque conosco solo io. Finita la prima parte del libro l’ho fatta leggere a Luca Barachetti che mi ha spinto a proseguire. L’ho fatto e poi il libro è rimasto fermo per mesi. Un giorno ero a Prato e parlando con un organizzatore è saltato fuori, ho pensato quindi di girarlo a Paolo Benvegnù con cui mi ero sentito qualche giorno prima. Gli è piaciuto e ha deciso di scrivere la prefazione. Diciamo che è venuto un po' per caso e non so se ne farò un altro. Senza musica è complicato per me.

Il tuo approccio compositivo è mutato visto che adesso ti muovi in un contesto elettronico?
Sì, perché i primi album li ho scritti chitarra/voce e l’ultimo basso/voce. Questo solo col pianoforte ed in seguito l’ho sviluppato con elettronica, synth e drum machine. Franco mi ricorda sempre che il pezzo deve possedere un’anima anche solo chitarra/voce o piano/voce altrimenti non ha alcun senso proseguire con l’arrangiamento o aggiungere basi elettroniche. Tra l’altro il piano mi dà un sacco di libertà perché non lo conosco. Le ritmiche sono state ottenute con una batteria elettronica Korg degli anni novanta e poi Franco mi ha prestato tutti i suoi synth per gli arrangiamenti. La svolta sonora per cinque pezzi è avvenuta poi quando Valeria Sturba, theremin e violino, ci ha raggiunti in studio. Il bello è che ha registrato le sue parti in un solo giorno.

Quali sono le tue influenze principali?
Per batterie e bassi credo sia chiaro il riferimento a Massive Attack, Tricky e Portishead. Nelle linee armoniche c’è sicuramente qualcosa dei Radiohead. Poi è chiaro che il cantato in italiano ti costringe a lavorare sul suono delle singole parole molto più che con l’inglese. ‘Codex’ di Giovanni Lindo Ferretti è un capolavoro in questo senso perché propone messaggi molto alti ma allo stesso tempo fruibili e ritmici.

‘Atlantide’ è un pezzo fantastico e un nome mitico. Come te la immagini?
Sono un appassionato di esoterismo e ‘Atlas’ vuole essere una mappa, non tanto temporale o spaziale, ma personale. Tutta la nostra letteratura fa riferimento a tesori o punti da trovare. L’album è una sorta di mappa iniziatica, uno strumento per raggiungere un’altezza spirituale di un certo tipo tanto che nella versione fisica ci sono stampe, poster e mappe varie. La scaletta è ragionata in questo senso, dalla profondità del mare (‘Atlantide’) fino allo spazio (‘Non Siamo Soli’) e la consapevolezza di essere un uomo nuovo (‘L’Avvento Dei Futuri’). Me la immagino come nella leggenda ovvero ubicata in quello che adesso è il Polo Nord ma che allora era un posto temperato dove si viveva benissimo e c’era grande ricchezza. Adesso non può che stare in un fondale oscuro e questo perché ci siamo sempre più allontanati dalla tradizione. Alla fine andare per mare è il nostro viaggio tra simboli, codici e più livelli di lettura.

Puoi raccontarci del video?
In realtà avevo contattato Loredana Antonelli per le visual dei concerti poi è nata l’idea di collaborare per il video di ‘Atlantide’ e anche Chiara Orefice, oltre a recitare, ha dato una mano per la scrittura. Io so a malapena nuotare eppure per girare il labiale sott’acqua del video sono dovuto stare in apnea al buio, di notte, in una piscina vicino Pozzuoli. Accettare l’idea di stare così tanto tempo sott’acqua è stata una sfida.

Il secondo video invece è ‘Frontiera’…
Questo l’ha girato un ragazzo milanese, Roberto Rup Paolini, e la curiosità è che le riprese sarebbero dovute essere effettuate a Tangeri ma quando è arrivato in Marocco gli è stata sequestrata tutta l’attrezzatura. Allora è stato deciso di girarlo a Oropa, la storia è stata scritta insieme a me mentre gli attori sono stati scelti da lui. ‘Frontiera’ rappresenta l’altra anima di ‘Atlas’, rispetto a ‘Atlantide’, ovvero quella più kraut e legata all’ultimo album dei Portishead. L’idea del synth è stata ripresa da ‘The Rip’.

Ti piacerebbe registrare all’estero la prossima volta?
Non lo so, col terzo album dei Santo Barbaro avevamo pensato di realizzare una versione in inglese e farla cantare metà a me e metà a Hugo Race dei Bad Seeds. In questo caso mi chiedo se all’inizio non sia più importante comunicare con chi mi è più vicino. Di lavoro faccio l’interprete quindi la lingua non sarebbe un ostacolo ma mi appagherebbe di più crescere nel mio paese. Questo proprio perché la musica italiana sta vivendo un momento bruttissimo.

Pieralberto Valli
From Italia

Discography
Atlas (2017)