Un album oscuro e monumentale quello che segna una svolta totale per gli autori di ‘Psychurgy’ e ‘Natron’, capaci di muoversi in territori industriali malsani ma anche di sollecitare l’interesse di chi è cresciuto con dischi come ‘Kid A’ e ‘Amnesiac’ dei Radiohead, ‘Mezzanine’ dei Massive Attack e ‘Ultra’ dei Depeche Mode. Le altre influenze dirette di David Husser (Alan Wilder, Rammstein) e Stéphane Azam (Alcest) sono senza dubbio i Nine Inch Nails, sia quelli del periodo d’oro degli anni ‘90 sai quelli più sperimentali di ‘Ghosts’ ed i Godflesh di ‘Streetcleaner’ e ‘Pure’. Spetta a ‘Violence’ inaugurare la scaletta e spingere l’ascoltatore in uno scenario disturbante dove è normale perdersi dopo pochi minuti. Karin Parks degli Årabrot, anche loro appena tornati con ‘Norwegian Gothic’, è protagonista di ‘Utopia’ ovvero dell’unico pezzo che, assieme a ‘Neverland’ e ‘Nails’, può essere considerato standard, nella struttura e nell’accessibilità. Il resto è un vortice di emozioni che toglie qualsiasi tipo di riferimento e potrebbe tranquillamente essere utilizzato come colonna sonora di qualche film horror mozzafiato che sta per uscire nelle sale. Una partita a scacchi non l’ascoltatore che non finisce mai come da previsione. La fine di tutto ma non certo dell’ispirazione e della creatività.