Quando ho ascoltato per la prima volta 'Hostage', ho subito pensato che la carriera solista di Philip Strand sarebbe stata molto più interessante di un altro album degli autori di 'White Flag'. Più che il singolo di una band che nelle biografie viene etichettata ancora come post-hardcore, pare il nuovo pezzo di Mahmood e le concessioni commerciali sono talmente vomitevoli da far credere di avere sbagliato il canale di utilizzo. Non è così, i Normandie hanno sul serio tentato di fare il botto con un album in cui si sono del tutto snaturati dal punto di vista artistico, pur di vendere qualche copia in più o apparire nei programmi che contano. Il ruolo del chitarrista Håkan Almbladh e del batterista Anton Franzon è praticamente inesistente e si fa fatica a capire quale sia il filo conduttore tra i brani, se non un approccio lirico adolescenziale. 'Mission Control' è con tutta probabilità l'unico episodio che si salva in una scaletta moscia da morire, ma il riff è così copiato dai Muse da venire a noia al secondo minuto. Capisco che gruppi come gli Imminence, comunque decisamente più bravi, abbiano aperto certe porte e apprezzo il tentativo dei ragazzi di non seguire i dettami di alcun genere ma vi assicuro che i loro segreti non sono oscuri e nemmeno avvenenti.