Secondo album per i crossover death-thrasher originari di Detroit. In coesistenza più o meno forzata con la comunità rap, gli autori di ‘Unholy Infestation’ si sono affidati all’esperienza di Arthur Rizk (Power Trip, Cavalera Conspiracy) per rendere ancora più ferale e rigida la loro proposta che omaggia gli anni ‘80 e band come Kreator, Sepultura e D.R.I. ma dimostra di essere pure influenzato da formazioni più recenti come gli Iron Age. La componente hardcore è determinante come quella lirica con argomentazioni gore e horror che ben si addicano ai macigni lanciati da Eric Lauder e Tim Engelhardt. Il chitarrista è una furia e riesce sempre a coniugare tecnica individuale e attitudine mentre il frontman è migliorato tantissimo rispetto all’esordio. Al loro fianco troviamo una sezione ritmica solidissima, formata da Rian Staber e Mike Jurysta, con il leader anche nei Build and Destroy. ‘Play The Victim’ e ‘Incantation’ sono due ottimi esempi del songwriting ficcante e incisivo dei Plague Years ma forse la migliore traccia del lotto è ‘Witness Hell’, col suo incedere maligno tra rabbia, dolore e tanta voglia di thrashcore.