Dopo un disco più pulito e standard come ‘Everything Ever’, gli inglesi, nel frattempo tornati in tre con l’ingresso del polistrumentista James Brown, hanno deciso di compiere un passo indietro e recuperare l’approccio compositivo potente e disincantato dell’esordio, descritto come un feroce mix tra Black Sabbath e Nirvana. Thomas Edwards è cresciuto molto come cantante – basta ascoltare il singolo ‘Hi Ho Zero’ per rendersene conto - e la batteria di Ash Weaver, tre anni fa posta in primo piano nel mixaggio per cavalcare il trend di Royal Blood e Slaves, è sempre ingombrante ma meno in rilievo. Le registrazioni sono state seguite da Sylvia Massy, che ricordiamo a servizio di Tool, System Of A Down e Belladonna, e nello specifico sono state utilizzate numerose location bizzarre quali la vecchia stazione della metro di Aldwych (dove i Prodigy girarono il video di ‘Firestarter’). Il risultato è un disco rock magnetico e corrosivo, caratterizzato da testi politici ed esplosioni di chitarre. L’iniziale ‘Dreamers’ cita Bertolucci e tenta di evocare l’urgenza del grunge, ‘High Frequency Words’ e ‘Whip Goes The Crack’ impiegheranno tempo zero per diventare dei classici dal vivo mentre le dinamiche di ‘Palm Of Sand’ e ‘Bleeding A Rope’ dimostrano quanto si sia evoluto il progetto dai primi anni e dal tour di spalla ai Foo Fighters. Abbastanza punk per piacere ai fan più intransigenti e vario quanto basta per non subire i pesanti condizionamenti della scena anglosassone. Al contrario, la sensazione è che ‘God Damn’ possa piacere più all’estero che nel Regno Unito.