L’industria musicale sarà anche in crisi ma ci sono gruppi metal che continuano imperterriti a pubblicare lo stesso disco da anni ed il pubblico non cessa di celebrarli e dimostrare il proprio affetto di fronte a tanta coerenza. Alla corte di Travis Ryan ci sono adesso il chitarrista Belisario Dimuzio, che fa il suo dovere accanto ad un monumento come Josh Elmore, e Olivier Pinard, bassista dei Cryptopsy che non ha necessitato di ambientamento per adattarsi all’incedere forsennato di Dave McGraw. Recensire ‘Death Atlas’ è complicato esattamente come lo è stato recensire ‘The Anthropocene Extinction’ o ‘Monolith Of Inhumanity’. Per farlo sarebbe sufficiente fare copia e incolla delle parole usate in passato ma non fa parte della nostra etica. Trovare differenze è impossibile, le uniche novità riguardano il suono di batteria che appare leggermente piu’ tecnologico ed il fatto che al giorno d’oggi di release grindcore ce ne sono sempre meno. Il bilanciamento tra technical death puro e passaggi piu’ grezzi e tritaossa è curato nei dettagli e pezzi come ‘The Geocide’, ‘Vulturous’ e ‘The Great Dying’ non impiegheranno molto a diventare dei classici dal vivo. I dominatori della scena di San Diego rimangono loro.