A dispetto di un’immagine stravolta, la musica degli islandesi non è cambiata molto. Al contrario la scelta da parte della cantante e chitarrista Nanna Bryndís Hilmarsdóttir di produrre l’album assieme a Rich Costey – tra le sue collaborazioni Franz Ferdinand, Muse, Bloc Party e Vampire Weekend – è stata una scusa per tornare al passato e riprendersi le influenze degli esordi, che il successo stratosferico del singolo ‘Little Talks’ aveva messo in secondo piano. Le critiche ricevute con ‘Beneath The Skin’ devono avere convinto la band a recuperare un approccio onesto, spontaneo e legato alle proprie origini, con parecchi cambi di atmosfera, sussulti luminosi ma pure divagazioni oscure.L’apertura di ‘Alligator’ è scritta apposta per non confondere i fan più giovani ma col passare dei minuti emergono passaggi più anni ‘80, come ‘Wild Roses’ che mi ha portato alla mente i Seabear, e ‘Waiting For The Snow’, che si avvicina alla musica ambient. Le registrazioni si sono svolte nello studio di Garðabær e le sperimentazioni maggiori sembrano finite in ‘Ròròrò’ e ‘Under A Dome’. Non mancano i riferimenti a Coldlplay e Mumford & Sons ma alla fine ‘Fever Dream’ esce per Universal quindi era anche lecito attenderseli. A Novembre potremo ammirarli con i Vök, sia nella loro terra, durante Iceland Airwaves, sia a Milano, e valutare se tale ripresa è tangibile anche dal vivo.