Un piccolo gioiello di sperimentazione e avvenirismo il debutto su lunga distanza di Klara Andersson, musicista svedese in bilico tra post-rock, noise e pop già apparsa in rete con un EP ed un paio di singoli, oltre ad essere impegnata con Mira Asmaa, la qualeha ricambiato impreziosendo la meravigliosa ‘Döda Flickan Rädda Rösten’. Ogni singolo dettaglio dell’album è curato nei minimi particolari come se la ragazza fosse la più esperta delle sound designer e la produzione, realizzata assieme a Henryk Lipp, è sul serio destabilizzante. È vero che si tratta di un personaggio già inserito nel business e attivo con artisti importanti come Thåström, Anna von Hausswolff, Union Carbide e Blue For Two, ma ciò che ha saputo regalare alla Andersson è difficile da esprimere con le sole parole. Ha saputo renderla libera, di performare e suonare, di recitare ed aggredire gli strumenti e l’ascoltatore con la ferocia di un animale e l’approccio poetico e ingenuo, almeno in apparenza, di una studentessa. Ad una normale pedaliera per chitarra, la Andersson attacca synth e microfoni di vario tipo in maniera da esaltare il contrasto tra il pop e la sua struttura standard. In questo modo hasaputo donare a ‘Helvetesdagar’ un tocco unico, in un periodo storico in cui la musica è sempre più banale e le soluzioni commerciali vengono prima di qualsiasi spunto creativo. Alcune parti vocali possono ricordare la terra islandese mentre alcuni riverberi e l’elettronica sono tipici della scuola berlinese. Fågelle suona anche il piano e si affida a Erik Berndtsson per le percussioni, cita i Sigur Rós nei passaggi più ambientali ed atmosferici e associa field recordings, chitarre e synth con classe innata. Le liriche, in lingua madre, narrano dei nostri tempi, in prospettive micro e macro, del possedere potere e di perderlo del tutto. ‘Det Kommer’, ‘Damm Och Saltvatten’ e la title track sono pazzesche ma non oso pensare cosa possa nascondere il futuro.