Se avete amato ‘p.h.u.q.’ procuratevi immediatamente una copia di quest’album che ripercorre, passo dopo passo, l’intera carriera di una band che, per attitudine e songwriting, avrebbe meritato tutt’altra fama. Ginger è sempre Ginger, questi dieci anni trascorsi da ‘Chuzpah!’ non lo hanno cambiato, i capelli saranno più bianchi, il fegato ridotto male ma la sua capacità di destreggiarsi in almeno trent’anni di rock n’ roll è strepitosa. Ho citato ‘p.h.u.q.’ perché il mix tra Metallica e Beatles e l’urgenza lirica sembrano proprio quelli dell’epoca, perché se il presente album non riesce a superare ‘Earth vs. The Wildhearts’, senza dubbio raggiunge i livelli qualitativi del debutto e della terza fatica in studio che nel Regno Unito venne acclamato come l’unica possibilità di salvezza per la scena rock britannica, infestata da indie e shoegaze band. ‘Let’em Go’, la title track e ‘Diagnosis’ (impossibile non pensare a ‘Thunderstruck’ degli AC/DC ascoltandola) rasentano la perfezione e trasmettono il desiderio compulsivo di tornare a vedere questi reietti di Dio dal vivo. Solo i prossimi mesi ci diranno se la line-up è tornata sul serio compatta, se Ginger riuscirà a reggere la vita on the road come una volta e se gli appassionati di hard rock torneranno ad affollare locali, attualmente pieni solo per popstar fighette o rapper da quattro soldi.