Una versione aggiornata di ‘Entombed’, che ricordiamo sul mini ‘Vol II’, spezza in due questo disco con un riff nu metal, un assolo anni ‘70 ed influenze in bilico tra glam rock e psichedelia. Fin da subito si evince come il debutto su lunga distanza degli inglesi sia qualcosa di estremamente ricercato, provato a più riprese e pianificato nei dettagli. Non si tratta solo di derivazione, in certi frangenti palese, quanto di desiderio di proporre qualcosa di nuovo miscelando in maniera più intelligente di altri le proprie conoscenze. In molti hanno trovato similitudini con i Ghost, nello specifico col cantato di Tobias Forge, in ‘The Goat’; sarà perché la vecchia band di Billy Howard si chiamava Polterghost, per i monili gotici posti in copertina oppure per l’appartenenza al catalogo della Spinefarm. In tutta sincerità tutta questa vicinanza non la condivido e semmai auguri ai ragazzi di arrivare tanto lontano, sia in termini di popolarità sia in termini di maturità compositiva. Al momento il power-pop filtrato dall’esperienza di Neil Kennedy (Boston Manor, Creeper) e Tom Dalgety (Royal Blood, Turbowolf ed in effetti Ghost) ha fatto breccia tra le scrivanie di Kerrang! e coinvolto più gente del previsto nel fango di Glastonbury ma la strada del successo è ancora lunga. ‘Black Hole’ presenta il timbro vocale e la duttilità di Jack Norton, ‘Vengeance’ e ‘Poor Me’ sottolineano la varietà del tessuto strumentale e da quel momento la scaletta è costruita su continui crescendo melodici, stacchi aggressivi e giri armonici perfetti per le radio dei college americani. Spetta a ‘Demons’ chiudere il sipario e costringere a ripartire da capo con l’ascolto.