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ICELAND AIRWAVES 2019 SATURDAY

Dopo un Venerdì del genere affrontare l’ultimo giorno del festival con una tormenta in atto non era certo semplice. Sonno a parte, fame a parte, freddo a parte, anche Sabato ha regalato emozioni in quantità a partire da Pillow Queens e Æ Mak che hanno scaldato il primo pomeriggio del Kex. Soprattutto quest’ultima è una forza della natura, mise e voce che potrebbero ricordare Björk, colori sgargianti, danze robotiche e alt-pop che si attacca in un attimo alla materia cerebrale. ‘Love Flush’ e ‘Dancing Bug’ sono assolutamente irresistibili. Dopo Una Schram alla Landsbankinn, in mezzo a tanti bambini, Cell7 all’Alda Hotel e ancora Bríet, sì lo so è una malattia ma come si fa quando una è così bella, la programmazione è proseguita con quanto di più vario possa esserci sul mercato. Sturle Dagsland ha infiammato il Dillon, Bessie Turner ha deliziato l’Iðnó col suo sorriso, i :PAPERCUTZ hanno invaso di trip-hop ed elettronica cinematica l’Hressingarskálinn ed infine Heidrik ha presentato alcuni nuovi brani al Kornhlaðan. Al Reykjavík Art Museum sono andati in scena prima Auður, petto nudo, tanta energia e pop facile da memorizzare, ed i Penelope Isles, provienenti dall’Isola di Man ed autori di un mix tra drea-m pop, fuzz e psych rock che non può lasciare indifferenti. Il sottoscritto ha però preferito guadagnarsi un posto in prima fila a Fríkirkjan per assistere all’ennesima performance memorabile di John Grant. ‘Mars’ e ‘Glacier’ sono stati gli apici di un set, diviso tra pianoforte e synth, nel quale l’autore di ‘Pale Green Ghosts’ e ‘Grey Tickles, Black Pressure’ ha ancora una volta dimostrato di potere guardare tutti dall’alto verso il basso. Voce straordinaria, interpretazione da pelle d’oca, capacità naturale di connettersi col pubblico con battute, sguardi e grande empatia. Grazie a lui ho scoperto le doti di Alexandra Stréliski, pianista canadese che ha acceso il riscaldamento nella chiesetta in riva al Tjörnin. Una volta terminato lo show ho battuto ogni record di velocità per non perdermi Ateria, Einarindra e Lydmor. Le prime sono due sorelle terribili, in senso buono, accompagnate dal cugino quattordicenne alla batteria e l’anno scorso hanno vinto il celebre Músíktilraunir, contest che tutti gli anni fa luce sul meglio dell’underground locale. Vi basta sapere che nella lista dei premiati figurano Vök, Mammút, Agent Fresco, Of Monsters And Men, Samaris, Hórmónar e Between Mountains. Come dire che il successo è garantito. Einarindra è uno dei musicisti più talentuosi del panorama locale e la sua capacità di muoversi tra John Cage, James Blake e Bon Iver, mantenendo oscuro il profilo cinematico e grassi i beat, lo spinge a livelli più elevati di tanti colleghi. L’introduzione perfetta per la performer danese che, sulle solite basi techno-pop, ha dato vita ad uno spettacolo eccezionale, colorato, vibrante e sexy da morire. Con il prossimo lavoro in studio potrebbe veramente arrivare la consacrazione internazionale. A quel punto le possibilità erano ben quattro ovvero Vodafone Hall, Iðnó, Reykjavík Art Museum e Gaukurinn. Al palazzetto, leggermente fuori dal centro città, si sono susseguiti Daði Freyr, Agent Fresco, Vök e Of Monsters And Men. Questi ultimi due sono partiti per un tour europeo che toccherà pure l’Italia e vi consiglio di cuore di non perderli. All’Iðnó prima i Sólstafir di Aðalbjörn "Addi" Tryggvason, con Ragnar Ólafsson degli Árstíðir alle tastiere, e poi i Grísalappalísa di Gunnar Ragnarsson e Albert Finnbogason, produttore e musicista visto sul palco con Sóley e JFDR, hanno dettato legge imponendo ritmi pesanti, scelleratezze on stage e tanta passione. Per i Grísalappalísa si trattava dell’ultimo concerto prima dello scioglimento, annunciato nelle settimane scorse attraverso la rete e le pagine di Reykjavík Grapevine. Mentre Biggi Veira dei Gus Gus faceva ballare al museo d’arte contemporanea, al Gaukurinn i discepoli degli Hatari si sorbivano GKR e le sue banconote false pur di potere assistere ad un altro concerto della vita. Chi pensava che in un luogo più piccolo, senza ballerine e coreografie, il trio potesse smarrire qualcosa della loro energia si è sbagliato di grosso. Al contrario gli Hatari se ne sono fregati dei suoni così così e dell’assenza di buona parte della loro produzione e hanno dato vita ad uno show heavy da morire, sullo stile dei primi Rammstein, con deliri industriali e stacchi melodici da paura. Più volte Klemens e Matthías si sono gettati sul pubblico e hanno reso ancora più fisico e marziale il loro approccio. Sudore a litri e tanta felicità.