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GOTHIC RUST

"Gothic Rust" prosegue la serie di speciali dedicati a particolari situazioni di aderenza artistica o veri e propri movimenti che si vengono a creare continuamente nella musica alternativa di oggi. Questa volta abbiamo tentato di indagare i risvolti più cupi dell"inconscio di tutti noi e quei goticismi che guardano al Nord Europa come punto di riferimento costante senza per questo limitarci ad un genere soltanto. Le cinque band proposte hanno qualcosa in comune e forse non lo sanno nemmeno. Seguendo i canoni più standard del gothic, del doom e ancora del progressive i loro confini sonori potrebbero apparire distanti ma l"approccio con il quale questi gruppi rileggono certe regole e la qualità della loro proposta permettono di considerarli insieme non fosse altro per il fatto che i loro recenti album hanno visto la luce questo autunno. Le immagini di seducenti paesaggi all"orizzonte si rarefanno fino a sparire a poco a poco schiacciati da ruvide trasposizioni ritmiche e mirabili disegni emotivi. I sogni che amiamo vedere materializzati sono qui e pretendono uno spazio che una volta passato il guado non è più possibile negare loro.  
 
NOVEMBRE
L"amore che provo per la loro arte e il rispetto che porto nei confronti degli uomini e dei musicisti in questione fanno apparire ai miei occhi queste parole come già scritte chissà quante volte. Da anni la parabola ascendente dei Novembre sembra toccare il suo apice per poi lasciarci ancora una volta sbigottiti di fronte a tanto talento e inarrivabile superiorità. Un gruppo che non si è mai fermato a compiacere il proprio talento o limitato a regalarci quadretti malinconici di efferata tensione melodica perché questo ne avrebbe in ogni caso arrestato l’evoluzione. "Blue" è l"ennesimo paradisiaco viaggio tra stelle e abissi di un"esperienza sonora che rappresenta da sempre il nostro paese laddove le falde del gothic e del doom amano scontrarsi. Ancora una volta l’aspetto atmosferico appare fondamentale così come il rapporto con una natura a volte distante e crudele, altre amabile compagna con cui condividere luce e buio. Nei freddi mari del nord non solo gruppi abituati a respirare quei freddi costanti sospiri ma anche Carmelo Orlando e coloro che amano sentirsi intrappolati nelle sue ramificazioni. Giungono ancora a noi i flebili effluvi (im)materiali dei Novembre. E da qui tutto il resto.
 
 
RIVERSIDE
Manca pochissimo ai Riverside per toccare il cielo con un dito. In questi ultimi due anni i polacchi hanno rincorso la celebrità senza cercare scorciatoie o seguire chimere superficiali ma ponendo l"accento sulle proprie doti tecniche e compositive sempre più eccellenti. Non pensate però di trovarvi di fronte al classico gruppo prog innamorato di se stesso. Al contrario nel quadro di ombre e luci soffuse che riflette l"espressione musicale dei nostri la semplicità e l"immediatezza trovano uno spazio importante. "Rapid Eye Movement" chiude la trilogia iniziata con "Out Of Myself" e proseguita con "Second Life Syndrome" ma soprattutto porta a compimento l"evoluzione melodica della quale avevamo apprezzato gli albori nel mini "Voices In The Head". Un disco che racchiude le lezioni e le migliori cose del passato tentando di sviluppare strutture compositive maggiormente improntate sulle parti vocali di un Mariusz Duda superbo nel seguire le fughe alternative e moltiplicare l"impatto della potente sezione ritmica. Opeth, Porcupine Tree e Anathema rimangono i nomi chiave ma la personalità dei Riverside è ormai evidente. Dietro l"angolo l"immensità.. 
 
THE SUN OF WEAKNESS
Il soffio divino, quel respiro che applaude alla grazia dei più forti. "Trompe L"Oeil" consacra un gruppo che avevamo scoperto tra le sdolcinate pieghe di un"annata storta e del quale ci eravamo sentiti attratti da subito. Guidati dalla sapiente mano di Giuseppe Orlando (Novembre) i The Sun Of Weakness pubblicano finalmente il loro debutto su lunga distanza giocando tra attese, ricordi e lussuriose certezze con i nomi dei grandi appunto, dei più forti. Basterebbe infatti elencare le loro influenze più evidenti per farvi comprendere l"ambizione di un progetto che dopo il mini "Landscape" trova ancor più ampio respiro e soddisfazione catartica nell"esplosione sonora di nove sussurri lievi e appena accennati che improvvisamente assumono dimensioni paurose come nei colossal cinematografici. Il talento vocale di Alessandro Cammilletti, la solidità di un contesto strumentale mai banale e scontato seppure immerso in un genere conosciuto da decadi e una produzione già eccellente anche se parliamo dell"album di esordio fanno di questo gruppo laziale una rivelazione sicura dell"autunno che incombe. Quella stagione che a noi piace così tanto.. 
 
THE FORESHADOWING
Imprimete bene nella mente il nome The Foreshadowing. "Sing the sorrow, enjoy the end" si legge sul sito ufficiale di questa realtà italiana che è riuscita a catturare l"interesse della Candlelight Records fin dai primi passi. Del resto non c"è da stupirsi considerato che la spina dorsale del gruppo è costituita da musicisti che in passato si sono messi in mostra con entità di rilievo quali Klimt 1918, Grimness e Spiritual Front. Tra questi spicca certamente il chitarrista dei Dope Stars Inc. Alessandro Pace che gode ormai di fama internazionale e garantisce l"alto livello qualitativo della proposta. L"esordio dei romani è un disco che farà discutere imponendo un"analisi profonda su questo nulla che ci circonda ma non spaventa. "Days Of Nothing" mette in luce le influenze di My Dying Bride, Anathema e Katatonia ma allo stesso tempo una visione personale e capace di distinguersi dell"oscurità e del malinconico sopravvivere. "Quel adagiarsi stancamente sulle note, quel caracollare strumentale e quel galleggiare mai troppo vicino alla riva, ma neppure in mare aperto, alla fine si impossessa dell’ascoltatore, quasi più per induzione che per deduzione, come sotto l’effetto dell’ipnosi.." 
 
THE OLD DEAD TREE
Giocano col destino i francesi e forse con un po" più di coraggio potrebbero già volare. "The Water Fields" ribadisce con forza l"intenzione di Manuel Munoz e compagni di liberarsi della gabbia dorata creata dalla critica in onore di due dischi non certo facili da superare come "The Nameless Disease" e "The Perpetual Motion". L"esigenza di un"apertura maggiore verso l"esterno e di un abbraccio melodico più soffocante dell"epica rilettura delle movenze dei grandi hanno reso il cantato sempre più versatile in attesa che anche la struttura delle canzoni venga sviluppata in quella direzione. In tal senso ci saremmo attesi un disco ancora più orientato verso l"orizzonte ma tempi e modi di tale evoluzione sono racchiusi nella mente dei protagonisti e non nelle nostre. Questo non toglie che il talento sia dalla parte di questo vecchio malandato albero nato nei dintorni di Parigi che perderà le ultime foglie proprio nella stagione di cui avvertiamo adesso la presenza. This is now farewell..