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Libano
Pubblicato il 20/02/2020 da Lorenzo Becciani

Prima di tutto presentate la band con una breve biografia, sottolineando i passaggi chiave in carriera e le differenze in termini di songwriting e produzione tra i vostri EP e ‘I’ll Be Here In The Morning’..
Pascal e Marwan sono cugini. Li ho incontrati grazie a degli amici comuni nell’estate del 2012 e poche settimane dopo abbiamo deciso di formare una band. Abbiamo cominciato a suonare nei bar di Beirut, qualche cover ed alcuni assaggi delle nostre canzoni. Nel 2013 Rany si è unito al basso e sono iniziate le registrazioni del primo EP ‘Lakehouse’. Allora avevamo circa diciotto anni ed era il nostro primo tentativo di scrivere musica. Ci piaceva il suono non commerciale dell’indie folk, lo sentivamo genuino e nostalgico, e avevo un ukulele quindi così è iniziato tutto. Con il nostro secondo EP ‘What Lies So Still’, uscito nel 2015, siamo cresciuti e ci siamo sempre di più interessati ad un folk-rock più intricato. Dopo ciò abbiamo speso circa tre anni per trovare noi stessi musicalmente mentre eravamo impegnati con i tour e sperimentavamo altre cose. Adesso forse siamo più a nostro agio col termine dream pop perché il nostro interesse nel suono, nei timbri e nella produzione è aumentato con il passare del tempo. Conoscevamo molta più musica e questo, combinato con un nuovo approccio alle liriche, ha portato a ‘I’ll Be Here In The Morning’ nel 2018. Abbiamo promosso l’album dal vivo in tre perché Rany si è amichevolmente allontanato dalla band. Siamo rimasti in tre ma è sempre parte della famiglia e ci supporta tanto. Lo scorso mese è uscito ‘The Good Soldier’ che rappresenta la naturale continuazione dell’album precedente.

Quali erano i vostri obiettivi quando avete cominciato? Quanto sono cambiati adesso che ‘The Good Soldier’ è nei negozi?
Direi che sono sempre i soliti ovvero lavorare duro e provare a vivere di musica. Vogliamo continuare ad evolverci e crescere.

Quando avete iniziato a comporre il nuovo materiale? É stato un lungo processo?
Sì lo è stato. Abbiamo iniziato appena dopo aver completato l’album precedente. ‘Fossilized’ è stata scritta nel Novembre 2017 e da allora è cambiata molto. Nel Gennaio 2018 abbiamo composto ‘Little Lies’ e ‘Hunting Season’ e da quel momento tutto è venuto di conseguenza. Abbiamo trovato il ritmo giusto ed è stato eccitante.

Dove avete registrato? Che tipologia di produzione volevate ottenere?
Abbiamo registrato ai Tunefork Studios di Beirut. È dove abbiamo sempre registrato e dove proviamo. Fadi Tabbal, il nostro produttore, è il proprietario dello studio ed un grande amico. É una vera guida per la scena alternativa del nostro paese. È sempre eccitante lavorare insieme e per questo album abbiamo discusso parecchio prima di registrare. All’inizio pensavamo a qualcosa di molto potente e spazioso, così abbiamo registrato un paio di canzoni in quel modo, poi però abbiamo preferito muoverci in una direzione più intima e lo-fi. Ai Tunefork possiamo sperimentare in libertà e non preoccuparci degli errori. L’album è stato registrato in periodi di due settimane a Dicembre 2018 e nella primavera 2019, poi ancora nell’estate. Quindi abbiamo avuto il tempo di compiere un passo indietro e lavorare a fondo su ogni canzone. A livello di produzione ascoltiamo tanti artisti diversi e ci piace parlare del loro suono, sottolineando ciò che ci piace e ciò che non ci piace. È un mix di queste considerazioni, Fadi ha una conoscenza enciclopedica e sia in studio che dal vivo seguiamo molto il nostro istinto.

Prova a recensire ‘Dead End’ e ‘Last Resort’ per i nostri lettori..
Sono le canzoni più sperimentali dell’album con il medesimo feeling dark e drone basato su loop e ripetizioni. Non era pianificato ma ho finito a scriverle entrambe su passeggiate notturne che ho avuto spesso nella mia vita. ‘Dead End’ è la descrizione di una passeggiata al mio nuovo appartamento, dove mi sono trasferita qualche anno fa, mentre ‘Last Resort’ nel mio vecchio quartiere, dove sono cresciuta. Un sentiero in collina fino al mare che ho percorso quasi giornalmente con la mia migliore amica. É una sorta di tema per l’album, il presente che incontra il passato, quello che ci aspettiamo da bambini e quello che viviamo adesso che siamo adulti.

C’è una traccia chiave a tuo parere?
Non proprio, il suono dell’album è coeso pur con la sua varietà. Ci piacciono le sonorità heavy e aggressive ma anche quelle più intime e delicate. L’umore può cambiare da canzone in canzone ma il feeling è lo stesso. Questo è ciò che ci definisce e tale dualismo fa parte delle nostre vite: il passaggio tra la normalità e l’assurdità della vita in Libano, i momenti rumorosi o tranquilli, le relazioni di amore e odio che abbiamo nel nostro paese, il contrasto tra la nuova e la vecchia generazione. Questo emerge nella nostra musica.

La tua voce è incredibile. Quali sono le tue influenze maggiori? Hai cambiato approccio vocale tra i due album?
Ci sono tante cantanti che ammiro, le cui voci hanno cambiato il mio modo di cambiare o comunque mi hanno fatto riflettere. Prima di tutto amo Vashti Bunyan e il suo stile sussurrato e arioso. Poi Fiona Apple che è davvero incredibile con le dinamiche e le acrobazie vocali. Le sue melodie sono imprevedibili. Ho scoperto Angel Olsen con ‘Burn Your Fire For No Witness’ e anche lei ha un grande senso della melodie e mi ha trasmesso confidenza nell’esplorazione della mia voce. Inoltre amo Nada Shazly, una musicista egiziana che usa la voce in maniera del tutto singolare. L’ho vista ad un festival a Beirut lo scorso anno ed il suo stile mi ha colpito. In generale ho guadagnato confidenza nel nuovo album e ho usato di più il mio spettro, sperimentando con le melodie e con gli alti ed i bassi, senza paura di fare cose che non sentivo sicure.

Le tue liriche nascondono un messaggio specifico?
No, sono solo l’espressione dei miei pensieri. Non ci sono lezioni da imparare, solo un riflesso delle dualità di cui parlavo prima.

Com’è vivere a Beirut?
Esattamente come vivere in qualsiasi altra parte del mondo. La normalità spesso si traduce in assurdità e finisci per abituarti. Ci sono dei limiti e delle cose che alla lunga diventano frustranti ma anche un sacco di fascino.

Ci sono altre band libanesi che meritano la nostra attenzione?
Ce ne sono tante! Siamo così orgogliosi della scena indipendente libanese, piena di talento e di generi diversi di musica. I nostri preferiti sono: Youmna Saba (experimental/drone), Soapkills (indie pop), Kinematik (post rock), Kozo (math rock), The Bunny Tylers (cold wave) , El Rass (rap), Fadi Tabbal (ambient), El Darwish (rap), Stress/Distress (elettronica/ambient), Interbellum (dream pop), The Incompetents (noise pop), The Great Departed (folk), RadioKVM (elettronica), Ziad Moukarzel (elettronica), Kid Fourteen (noise pop) e Alko B (surf rock).

Dove avete scattato l’immagine di copertina?
La fotografa Rachel Tabet l’ha scattata a casa sua! Pensavamo ad un’immagine di interno e avevamo provato qualcosa nelle nostre abitazioni. Ma la sua ha funzionato meglio e ha catturato alla perfezione l’essenza, fredda ma intima e personale, dell’album. Come essere invitati in una stanza di hotel poco accogliente.

Quali sono i vostri piani adesso? Siete già stati in Italia?
A Marzo suoneremo in Germania e per la fine dell’anno abbiamo già delle date fissate. In Italia siamo stati due volte. È stato il miglior cibo di tutta la nostra vita. Non vediamo l’ora di tornare.

(parole di Julia)

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From Libano

Discography
I'll be here in the morning - 2018
The Good Soldier - 2020