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Islanda
Pubblicato il 09/11/2017 da Lorenzo Becciani

Prima di tutto vorrei sapere che tipo di droghe, pillole o bevande energetiche prendi per essere così attiva con tanti progetti..
No, no, non sono così occupata. Non ho bisogno di niente. Anzi, a volte sono addirittura pigra.

Eppure recensire il tuo materiale sta diventando sempre più difficile. Si corre veramente il rischio di ripetersi visto che tutto quello che fai uscire è meraviglioso..
Ti ringrazio di cuore. Per me ‘Brazil’ è davvero importante perché per la prima volta ho potuto misurarmi con me stessa. L’ho intitolato così perché non sono mai stata in Brasile e nell’album parlo spesso della ricerca di un posto, non per forza utopico o bello ma comunque di fantasia. Il Brasile poi è l’opposto dell’Islanda, sia come cultura che come clima. É lontano, enorme e molto caldo. Inoltre ‘Brazil’ è un film di Terry Gilliam che mi è piaciuto molto anche se, almeno in apparenza, non ha nulla a che vedere con la mia musica.

Ormai vivi da tempo a New York e proprio lì hai prodotto l’album..
Sì, diciamo che faccio avanti e indietro. Appena posso torno a casa dagli amici. A New York ho potuto collaborare con due musicisti come Shahzad Ismaily e Greg Fox e non potrei avere chiesto di meglio. Ormai produrre la propria musica all’estero sta diventando un trend per tanti artisti islandesi, forse perché permette di concentrarsi maggiormente sul materiale.

Come fai a dividerti tra Samaris, Pascal Pinon e carriera solista?
Al momento sto portando avanti solo questo progetto solista anche se sto portando avanti tante idee. Il prossimo lavoro sarà sulla linea di ‘Brazil’ ma più elettronico e ambient. Spero di andare avanti e rompere qualche altra barriera ma in generale l’approccio minimale ed il songwriting saranno simili.

La tua voce è fantastica ma a colpire è spesso anche il tuo approccio teatrale..
Ci tengo a precisare che non sono un’attrice. Il mio lavoro con i Samaris mi ha portata a diventare sempre più teatrale sul palco allo scopo di cercare una certa distanza dal pubblico. Amo le atmosfere sognanti e spettrali. Con le Pascal Pinon invece abbiamo una connessione maggiore col proprio pubblico, canto di più e racconto storie. La mia esperienza solista è una sorta di via di mezzo.

Come componi di solito?
Qualcosa nasce dalle liriche ma in generale è sempre una questione di spazio e di tempo. Ho bisogno di questo. Parto da laptop, chitarra o pianoforte e il mio background è classico. Ho iniziato a suonare il clarinetto quando avevo sette anni.

Quando hai scoperto la tua voce?
Molto tardi. A quattordici anni ho iniziato a suonare con mia sorella come Pascal Pinon, ero molto timida e più songwriter che cantante. Poi ho scoperto che cantare fa bene al corpo e all’anima. Sono vibrazioni piacevoli di cui non posso fare più a meno.

Il costante paragone con Björk ti infastidisce?
No, penso che sia positivo. È un’artista gigantesca che ammiro e rispetto tantissimo. Non importa quello che fai o dove sei, alla fine sarai sempre paragonata a qualcun altro. Per qualcuno è negativo, i fan di Björk sono molto protettivi e sono convinti che solo lei possa raggiungere certi risultati ma non credo sia vero. L’ispirazione funziona come un effetto domino e Björk è talmente grande che se non fossi stata comparata a lei probabilmente ci sarei rimasta male.

Quanto è importante per te la componente visuale?
Molto perché non quasi mai una band alle mie spalle. Mi piace il simbolismo dei video, delle poesie e delle immagini. Mi piace anche molto viaggiare. Per questo ho girato i miei video in luoghi diversi come l’Irlanda e gli Stati Uniti.

Dove hai comprato il vestito bianco che indossi a quasi tutti i concerti?
Non me lo ricordo. È lui che ha trovato me.

Cosa provi guardando la copertina di ‘Brazil’?
Vedo un cuore ma anche una roccia dalle forme irregolari. Per me rappresenta il cuore delle arte, con delle spine magari, e tutta una serie di cerchi dentro altri cerchi. È una metafora dei loops e delle storie che hanno reso importante la produzione. Una sorta di concept che procede dall’inizio alla fine.

Appena vedo un’immagine vagamente sci-fi penso immediatamente a ‘Space Oddity’ di David Bowie. Ti sei mai sentita persa nello spazio?
Non saprei ma la sensazione di non sapere dove stai andando è qualcosa di comune per gli artisti. Per certi versi è anche positiva. Per me la musica è un modo di esprimere me stessa con sincerità e onestà, uno strumento per trovare qualcosa che faccia ragionare le persone su certi argomenti. Con il passare degli anni ho imparato a cantare in maniera più potente.

Questo è il tuo Iceland Airwaves numero?
Nove, credo. Il 2012 fu fantastico ma ricordo con piacere anche l’edizione successiva perché con i Samaris ci esibimmo all’Harpa e l’accoglienza fu incredibile.

Qual è l’artista che consigli di vedere quest’anno?
Senza dubbio Gyða Valtýsdottir.

(parole di Jófríður Ákadóttir)

 

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