-Core
Birthh
Italia
Pubblicato il 07/04/2016 da Lorenzo Becciani

In quali boschi sei nata?
Nei boschi con tanti scoiattoli credo.

Che direzione sonora volevi intraprendere con Birthh?
Nessuna in particolare, l’idea è sempre stata quella di scrivere canzoni che mi piacessero e di arrangiarle nel miglior modo possibile. E' tutto venuto in modo molto naturale poi in fase di mix ci siamo resi conto che certe soluzioni davano un valore in più (come per esempio i cori con l’harmonizer, la scelta di usare il basso il meno possibile o il tenere i suoni di chitarra e i suoni di Wurli lo-fi) e abbiamo deciso di utilizzarle per caratterizzare il disco.

Avevi chiaro in mente come sarebbe dovuto essere il debutto oppure le canzoni si sono evolute col tempo?
Le canzoni del disco hanno tutte storie diverse, 'Chlorine' ad esempio è rimasta piuttosto fedele alla versione demo di camera mia, altre invece come 'Queen Of Failureland' o 'If You Call Me Love' si sono evolute un’infinità di volte finché in studio non hanno trovato la loro dimensione. La cosa più bella della produzione di questo disco è che abbiamo avuto la fortuna di avere un bel po’ di tempo per produrre le cose esattamente come avrei voluto che fossero prodotte. Ho tenuto ciò che secondo me funzionava dei pezzi e abbiamo lavorato sulle lacune e sulle cose che non funzionavano o che potevano essere migliorate.

Quali obiettivi ti sei posta ad inizio carriera? Come sono cambiati adesso che 'Born In The Woods' è fuori e l'accoglienza sta superando le aspettative?
Parto dal presupposto che non so quale sia il mio “inizio carriera”, suono da quando ho iniziato ad andare alle elementari e bene o male la musica e lo scrivere canzoni è sempre stata la cosa che mi occupava il tempo più di tutti. Quando suonavo come Oh! Alice non avevo nessun tipo di obiettivo: avevo delle canzoni e volevo suonare il più possibile, da qui il bisogno di far uscire un EP. Tra una cosa e un’altra l’EP è diventato LP ma comunque l’intento era solo quello di girare e fare concerti. Credo di aver cominciato a capire che le cose si potessero fare più serie dopo aver parlato con Alessandro e Samuele di We Were Never Being Boring, lì sono entrata in un’ottica diversa, diciamo che adesso vorrei riuscire a fare della musica il mio lavoro quindi prendo tutto con molta più “professionalità”.

Personalmente non ascoltavo una voce così originale e matura da tanti anni. E non parlo di elettronica, pop o indie. Parlo di voce e basta. Eppure sei giovanissima. Come ti sei avvicinata al canto?
In casa mia sia da parte di padre sia da parte di madre si è sempre suonato o cantato quindi è stato un processo involontario e naturale per me. Mio padre ha un gruppo di musica folk irlandese e quando ero più piccola andavo a vederlo suonare quando potevo, a volte mi facevano anche suonare un paio di pezzi sul palco, anche se non volevo mai cantare. In passato ho avuto un rapporto particolare col canto, nel senso che non pensavo di potermi permettere di “puntare” sulla voce, adesso la situazione si è capovolta e questo disco enfatizza un sacco questa cosa.

Quando hai iniziato a comporre il materiale?
Il pezzo più “vecchio” del disco è 'Queen Of Failureland' e credo risalga più o meno a febbraio 2014.

Dove è stato registrato l'album? Chi l'ha prodotto?
Abbiamo registrato quasi tutto (a parte il vibrafono, il piano e l’armonium) al RedCarpet Studio di Brescia insieme a Lorenzo Caperchi che ha anche curato insieme a me la produzione, Lorenzo Borgatti e Massimo Borghi, con i quali porto in giro questo disco. Hanno contribuito in modo indispensabile sia nella produzione che inserendo la loro “impronta tecnica” nel disco (per esempio i rim di 'Queen Of Failureland' o il giro di chitarra del ritornello e i cori con l’harmonizer di 'Chlorine').

Ti sei ispirata a qualche album in particolare in termini di produzione e mixaggio?
Non direi, nel senso, la produzione ha ovviamente molte influenze ma l’idea era quella di fare un mix quasi “sbagliato”, con le voci molto fuori e molto asciutte, anche un po’ per uscire dal cliché della voce femminile ultra riverberata che si confonde con gli strumenti.

Ho letto in rete che Daughter e Jon Hopkins sono tra le tue influenze. Io ho trovato un po' di “Islanda” nella tua elettronica, soprattutto qualcosa di Sin Fang, ma sono curioso di sapere da te se negli ultimi tempi sei stata attratta da qualche artista o band particolare...
Ultimamente mi sono fissata coi Modest Mouse ma cronologicamente l’ultima “grande svolta” dal punto di vista musicale l’ho avuta consumando 'Carrie And Lowell' di Sufjan Stevens.

Oltre alla musica sei appassionata di altre forme d'arte?
Sì, amo tantissimo il cinema e la letteratura, avevo scritto venti righe di cose su quello che più mi piace ma ho cancellato per decenza personale. Riassumendo mi piacciono molto la nouvelle vague e le poesie dell’ultimo Pascoli, quello di Satura, tra i miliardi di altre cose.

Qual è la canzone di quest'album a cui sei più legata? Per quale motivo?
Non credo che ci sia una canzone in questo disco a cui sono più legata, ognuna ha una storia a sé e in ognuna c’è qualcosa che sentivo il bisogno di dire.

Liricamente a cosa ti ispiri? I testi sono molto poetici ma allo stesso tempo sembrano trattare temi concreti…
Liricamente non lo so neanche io, penso tantissimo alle cose intorno a me e anche a quelle dentro la mia testa, parlo delle cose che conosco o che ho imparato a conoscere. Quando ho scritto i pezzi del disco, nella testa avevo un sacco di cose pesanti e astratte, quindi per riuscire a capirle meglio l’unico modo che avevo era quello di tradurle in termini più concreti, infatti a volte i miei testi sono al limite dello splatter più spinto.

Nella presentazione dell'album leggo: “la coscienza di una diciannovenne che spende la maggior parte del proprio tempo a pensare a eventi apocalittici”. Vuoi spiegarci meglio?
Si riferisce appunto a quello che ho scritto sopra. Io penso troppo e quando si pensa troppo si comincia a pensare agli scenari più apocalittici che possano capitare.

'Queen Of Failureland' è autobiografica o ti sei ispirata ad una figura in particolare?
È super autobiografica.

Come sei entrata in contatto con We Were Never Being Boring?
Ho inviato loro un’email con i demo e mi hanno risposto. Poi da lì è iniziato la nostra quadruplice storia d’amore (dico quadruplice perché i tipini in questione sono Alessandro Paderno, Samuele Palazzi e Enzo Baruffaldi),

Quali sono gli artisti più interessanti che fanno parte della label?
Più che quelli più interessanti posso dire che quelli che seguo di più in Italia sono Tight Eye, Brothers In Law (con cui ho condiviso parte del tour negli Stati Uniti) e Be Forest, però ascolto molto anche Crescendo e Burnt Palms (entrambi californiani).

Com'è stata l'esperienza al SXSW dove sei stata invitata insieme ad altri gruppi italiani come i Platonick Dive?
È stata incredibile, la cosa bella degli Stati Uniti è che o ti svegli o non suoni, in un certo senso “ti devi guadagnare” il palco e per me è una filosofia bellissima.

Oh, Alice è un progetto parallelo? In cosa si differenzia da Birthh?
Oh! Alice è un progetto acustico accantonato per adesso perché non rispecchia più dove vorrei andare dal punto di vista sonoro, però comunque alla fine sono sempre io. Diciamo che Birthh è una cosa molto più ampia, sono coinvolte molte altre persone, soprattutto perché per la prima volta non suono più da sola ma siamo in tre.

(parole di Alice Bisi)

Birthh
From Italia

Discography
Born In The Woods (2016)
Whoa (2020)