Il pregio maggiore della sludge band originaria della Georgia è quello di non scendere a compromessi nonostante le naturali pressioni dell’etichetta ed il successo di vendite di almeno un paio di capitoli discografici precedenti. Il difetto invece coincide con l’assenza di un vero cantante, un frontman capace di dare risalto alle invettive strumentali e allo stesso tempo regalare una forte immagine al progetto. Tale limite si nota soprattutto dal vivo quando l’impatto del guitar work e di una sezione ritmica formidabile viene assorbito. Il precedente full lenght, ‘Once More ‘Round The Sun’, aveva puntato su dinamiche più strutturate pur mantenendo l’impressionante compattezza di ‘Blood Mountain’ e ‘Crack The Skye’ e mostrando un amore viscerale per il prog e l’heavy metal degli anni ottanta. Una formula vincente ulteriormente consolidata da ‘Emperor Of Sand’ che può contare su pezzi strepitosi come ‘Roots Remain’ e ‘Jaguar God’ oltre che su un concept sulla morte e sull’istinto di sopravvivenza che ben si accompagna ai portentosi intrecci strumentali. Brann Dailor è sempre più in primo piano ma Brent Hinds e Troy Sanders non sono certo da meno. Per qualcuno forse sarebbe stato lecito aspettarsi di più e sicuramente valgono i discorsi fatti in precedenza ma, in definitiva, per rimanere a certi livelli e trovare spazio nei festival più importanti, sarà sufficiente rimanere integri e fedeli al proprio verbo.