01. Oblivion 02. Divinations 03. Quintessence 04. The Czar 05. Ghost of Karelia 06. Crack the Skye 07. The Last Baron
Songs
01. Oblivion 02. Divinations 03. Quintessence 04. The Czar 05. Ghost of Karelia 06. Crack the Skye 07. The Last Baron
Quando si ascolta una corrente musicale ampia come il rock da circa vent’anni, magari avendo anche la presunzione di scriverne per più di dieci, si subiscono due fondamentali effetti collaterali: diventare troppo diffidenti è quello più spiacevole, prendere qualche cantonata meno di altri è un piccolo vanto. Insomma, spesso l’esperienza suggerisce un approccio cauto verso realtà emergenti per cui tanti critici improvvisati prevedono una carriera folgorante fin dagli esordi, intravedendo una miniera d’oro laddove brillano minerali assai meno pregiati. Per chi scrive, anche gli autori di album indubbiamente validi come ‘Leviathan’ e ‘Blood Mountain’ sarebbero potuti restare degli eterni incompiuti, al massimo i primi esponenti di una proposta comunque di nicchia per complessità e ricerca artistica. Forse le cose sarebbero andate proprio così, se non fosse mai stato pubblicato ‘Crack The Skye’. Un lavoro francamente imbarazzante per quantità creativa e qualità d’esecuzione, episodio rarissimo in un panorama metal ormai piuttosto desolato, dov’è sempre più arduo scorgere talenti capaci di coniugare raffinatezza ed impatto, fantasia e rigore, cerebralità e scorrevolezza. I Mastodon hanno selezionato le caratteristiche dei dischi precedenti che meglio si focalizzavano in prospettiva evoluta e le hanno calate in un recupero delle proprie radici solo apparentemente contraddittorio, partorendo in definitiva un ibrido tra passato e futuro che trascende qualsiasi tentativo di catalogazione. Senza mai perdere i tratti distintivi di un sound già personale ed apprezzato, le intuizioni melodiche di ‘Blood Mountain’ vengono immerse nell’acido lisergico dei Pink Floyd mantenendo l’approccio ritmico imprevedibile e la struttura variopinta di ‘Leviathan’, che già avverava il sogno proibito di combinare la batteria degli Slayer e la chitarra dei Black Sabbath in chiave postcore. La sostanziale rinuncia a parti vocali aggressive, in favore di stacchi al tempo stesso epici ed introspettivi, paga pegno all’Ozzy Osbourne solista e supporta in modo esemplare una sequenza di riff assolutamente terrificante per varietà stilistica e coerenza armonica, che sbriciola lo stesso concetto di progressive metal e quasi s’impone come un alter ego deviato e maligno degli onnipotenti Porcupine Tree. Citare un brano a discapito di altri diventa un esercizio inopportuno e svilente per un’opera a cui abbandonarsi senza riserve, palpitante come un muscolo cardiaco vicino al collasso e coinvolgente come un intellettuale all’alba della rivoluzione. Cuore e mente, passione e raziocinio. In poche parole la pietra filosofale dell’heavy metal.
2002 - Remission 2004 - Leviathan 2006 - Blood Mountain 2009 - Crack the Skye 2011 - The Hunter 2014 - Once More 'Round the Sun 2017 - Emperor of Sand 2021 - Hushed And Grim