01. Experiments In Mass Appeal 02. Welcome To Nowhere 03. Pocket Sun 04. Saline 05. Dear Dead Days 06. Falling Down 07. You / I 08. Toys 09. Wonderland
Songs
01. Experiments In Mass Appeal 02. Welcome To Nowhere 03. Pocket Sun 04. Saline 05. Dear Dead Days 06. Falling Down 07. You / I 08. Toys 09. Wonderland
Quando ti trovi di front ad un disco del genere è difficile contenere l"entusiasmo e trovare le parole giuste. E" allora che vengono ripagati tutti gli sforzi fatti in tanti anni di lavoro e in quel momento che vedi la luce. Un genere, un album, una manciata di canzoni può cambiare le tue giornate e farti sentire libero di parlare per ore e ore di quel gruppo che sta scrivendo nuove pagine di storia. "Experiments In Mass Appeal" sancisce il ritorno dei Frost dopo l"eccellente "Milliontown" svelando la ferma volontà di un Jem Godfrey, forse anch"esso sorpreso del riscontro ottenuto col primo disco, di allargare la formazione a influenze maggiori e parti vocali più varie. Si spiega in questo modo l"affidarsi al bravissimo Dec Burker – cantante degli emergenti Darwin"s Radio – e offrire maggiore spazio alla fenomenale chitarra di John Mitchell (Kino, It Bites). Il risultato è un album molto più diretto, corposo e suonato che non subisce l"elettronica ma la usa a suo piacimento per costruire arrangiamenti grandiosi e strutture ritmiche travolgenti. Si parte con una title track da urlo che racchiude al suo interno tutte le caratteristiche del suono dei Frost. Momenti quasi sussurrati si contrappongono a visioni sinfoniche e salti di volume che non si limitano a cullare chi fruisce di tale dinamismo ma lo tormentano fino a quietarlo con innumerevoli dosi di tecnica sbalorditiva. Non ho timore a definire "Experiments In Mass Appeal" vero e proprio manifesto del new prog considerata la consistenza di un sogno digitale divenuto realtà laddove elementi prog, sinfonici, crossover, solari e oscuri si alternano portando l"ascoltatore al godimento più puro che può dare la musica. Finalmente pochi riferimenti ai Porcupine Tree, osannati e chiamati continuamente in causa da coloro che si avventurano in territori progressivi di questi tempi, e molti a Tool e Muse che tornano alla mente quando alla chitarra acustica o alle delicate note di un piano ("Saline") si preferiscono stacchi metal maestosi e assoli imperdibili ("Dear Dead Days"). "Falling Down" e la conclusiva "Wonderland" altri due pezzi da stropicciarsi gli occhi prima di riascoltare il disco dall"inizio. Difficile farne a meno, curioso che si tratti di un disco prog e non pop. Pare impossibile che un compositore che ha lavorato in disparte per anni e portato al successo fantocci commerciali quali Ronan Keating sia riuscito a dare vita a qualcosa di tanto avvincente. Ma questo è il potere dell"arte in genere.