Incurante del gran numero di band che si dedicano ad un revival metal piuttosto inutile ma evidentemente redditizio dal punto di vista commerciale, il trio svedese prosegue nel proprio percorso artistico, iniziato nove anni fa con l’EP ‘Black Magick’, con una serie di omaggi, neppure troppo nascosti, alle icone del doom e dell’heavy metal anni ‘70 accompagnati dalle tipiche atmosfere cupe della musica nordica. La pulizia sonora del successore di ‘The Nekromant Lives’ permette di godere appieno di assoli ispirati, stacchi ritmici forsennati e riff giganteschi. Senza un cantante in grado di illuminare pezzi epici come ‘Behind The Veil Of Eyes’ e ‘Temple Of Haal’, gli ex Serpent (con quel moniker hanno dato alle stampe i full lenght ‘Slaves Of Babylon’ e ‘Nekromant’ per poi scegliere un nome che impedisse problemi legali) sarebbero però una delle tante band originarie della Scandinavia, innamorate di Black Sabbath, Judas Priest e Dio e incapaci di spingersi oltre un mero tributo alla vecchia scuola. Mattias Ottosson, prendendo spunto tanto dai Grand Magus di ‘Wolf God’ quanto dagli Hällas di ‘Excerpts From A Future Past’, ha invece compiuto progressi significativi ed il suo contributo appare determinante per la riuscita di un album talmente buono che vi costringerà a recuperare la discografia passata del gruppo. Di minuto in minuto cresce l’eco dei grassi riff di Adam Lundqvist e della batteria terremotante di Joakim Olsson, il vento gelido del Nord soffia fortissimo e canzoni come ‘The Woods’, ‘King Serpent’ e ‘Behind The Veil Of Eyes’, per la quale Johan Lundsten (Adna, Satan Takes A Holiday) ha girato un formidabile video, si attaccano subito alla materia cerebrale mostrando un’accessibilità sorprendente.