Il secondo lavoro dell’artista canadese, cresciuta con 50 Cent e Limp Bizkit, è la risposta ad uscite come ‘I Disagree’ di Poppy, ‘If I Can't Have Love, I Want Power’ di Halsey e perfino qualcosa di Tommy Genesis e Billie Eilish. In un periodo di transizione per l’industria musicale, a disperata ricerca di nuovi trend, un’immagine tanto forte vale molto di più un background di spessore e la sua capacità di fondere invettive rap, un pizzico di pop e stacchi industrial metal abrasivi la rende unica al mondo e proprio per questo estremamente commerciabile. ‘Churck Hooker’ e ‘Spit’, impreziosita dalla partecipazione di Travis Barker dei Blink-182, troviamo elementi degli In This Moment così come degli Ho99o9, e nel resto della scaletta non mancano ammiccamenti alle discografie di Nine Inch Nails e Marilyn Manson. Molto interessanti le liriche di ‘Manic Monday’ e ‘Apology’, ma l’aspetto più interessante della scaletta è la presenza di vari produttori, tra cui Dylan Brady, Arthur Rizk, NOLIFE e Italian Leather, che rendono l’ascolto molto vario e dissonante, a dispetto di tanti album di oggi fin troppo omogenei e costruiti al computer. Il difetto è che, sebbene il backstage debba essere divertente avendo ammirato su PornHub il video di 'Ride A Cowboy', non si intravede una trasposizione live di ‘Pantychrist’, se non con tonnellate di basi. In tal senso saremo felici di essere contraddetti.