Nuove forme di death metal avanzano e la curiosità sta nel fatto che a proporle sia un musicista come Martin Mendez che ha legato la sua fama agli Opeth ovvero ad un nome storico della scena progressive death internazionale. Il progetto parallelo del bassista uruguaiano, entrato alla corte di Mikael Akerfeldt al posto Johan DeFarfalla, sia con ‘Kuarahy’ che con questo secondo lavoro in studio, mixato da Jaime Gomez Arellano (Moonspell, Ghost), si è davvero superato, riuscendo ad alternare in maniera cinica e sistematica passaggi esecutivi da brividi con momenti atmosferici e melodie eleganti. Siamo al cospetto di un album estremamente innovativo e fresco, sebbene le influenze principali dell’autore siano altri gruppi attivi già dalla fine degli anni ‘80 come Deicide (‘New Age Of Dark’) e Morbid Angel. Anche i Cynic. A queste influenze si aggiungono frequenti richiami al jazz (‘Chain Of Command’) per una scaletta tecnica e coraggiosa, che propone un suono più compatto e aggressivo rispetto alla precedente e metterà in crisi i colleghi giornalisti al momento di stipulare le playlist di dicembre. Notevole l’apporto del cantante Eloi Boucherie (Vidres A La Sang) e del batterista Joan Carles Marí Tur (Face The Maybe). Una “libertà in cattività” che ci auguriamo possa rimanere tale a dispetto delle inevitabili pressioni discografiche e dell’esigenza di trasportare dal vivo le presenti canzoni.