L’ex The Czars procede spedito verso un suono talmente unico che prima ‘Grey Tickles, Black Pressure’ ed in seguito ‘Love Is Magic’ hanno contribuito ad evolvere. In questo caso la produzione è stata devoluta a Cate Le Bon, tornata nei negozi un paio di anni fa con ‘Reward’, per sottolineare un certo ritorno alle origini, spesso vengono infatti richiamate le atmosfere di ‘Queen Of Denmark’, ed un profilo autobiografico spiccato. L’influenza dell’artista baroque pop e indie folk britannica si sente soprattutto in ‘County Fair’ ma la scaletta è così varia e imprevedibile che farete fatica, di sicuro non vi basteranno un paio di ascolti, a individuare un senso logico. Chi ha però avuto la fortuna di assistere a qualche concerto di John Grant sa bene cosa significhi approcciarsi alla sua proposta e ‘Boy From Michigan’ non fa altro che sublimare una visione che parte da lontano. La sua arte è superba, anche se sarebbe sufficiente la voce per suggerire l’acquisto, e tra locali o strani luoghi di Denver, accettazione della propria omosessualità, prime volte e citazioni di Devo, Depeche Mode e Talking Heads le canzoni scorrono leggiadre (‘Best In Me’), ironiche e isteriche (‘Rethorical Figure’). Si può ballare come si può rimanere atterriti al cospetto di un testo arguto e doloroso, lasciarsi andare alle melodie subliminali della title track oppure perdersi nell’omaggio agli anni ‘80 di ‘The Rusty Bull’. Quello che conta è che ascoltare un disco di John Grant è sempre un’esperienza ultraterrena e non vedo l’ora di ritrovarmelo in una sala da tè per un’intervista oppure incrociarlo per le strade di Reykjavík durante Iceland Airwaves (l’ultima volta si è esibito all’interno della mitica Fríkirkjan). Mi auguro che le date con Kaktus Einarsson vengano recuperate perché l’accoppiata promette molto bene.