Ottima prova del quartetto tedesco che, in un momento particolarmente florido per il movimento post-rock, dimostra di essersi evoluto rispetto a ‘Yoshiwara’ e avere reso la propria proposta più competitiva a livello internazionale. Di primo acchito, si percepisce una produzione molto più organica e potente rispetto all’esordio di quattro anni orsono e l’affiatamento tra i due chitarrista Marcus Kreyhan e Stefan Claudius è certamente uno dei punti di forza della release. Il mercato è però oberato di uscite e solo negli ultimi mesi abbiamo goduto delle nuove opere di Mogwai e God Is An Astronaut, per non parlare degli stupendi live di Sigur Rós e Mono; in un contesto del genere fare la differenza è complicato ed i Volvopenta hanno pensato di rendere più invasiva la sezione ritmica, formata da André David e Kai Spriestersbach, e cercare di sviluppare un songwriting più accessibile. Così si spiegano brani come ‘Ghost’ e ‘Flint’ che si avvalgono di un tappeto melodico di tutto rispetto mentre ‘Barfly’ e ‘Kolonie 56’ sono più in linea con i dettami del post-rock e dello shoegaze internazionale e ‘Central Human Agency’ appare un esperimento di laboratorio, in bilico tra innovazione e follia. Non ancora perfetti ma sicuramente più interessanti e maturi di prima.