Al giorno d’oggi scrivere, realizzare e suonare un disco rock come Dio comanda appare sempre di più impresa titanica. L’avere come riferimenti i mostri sacri degli anni settanta è diventata una vera e propria moda, ma il saper poi avere un approccio compositivo che si avvicini ai grandi della musica è qualcosa di molto difficile. Fortunatamente, però, esistono ancora le mosche bianche anche nel classic rock e Tyler Bryant può tranquillamente essere definito un eletto. “Pressure”, il suo nuovo album suonato insieme agli Shakedown in cui compare anche Graham Withford, figlio del più noto Brad, colonna silenziosa degli Aerosmith, è un ottimo lavoro in cui si può trovare di tutto, a partire dalla title track, un vero e proprio omaggio a Kenny Wayne Shepherd, grazie ad un tiro diretto e immediato. Se si vuole rintracciare un pochino di southern ecco arrivare la solida “Hitchhiker”, mentre la successiva “Crazy Days” è la cosa che si avvicina di più ai Black Crowes di Amorica. Se “Backbone” ha venature che riprendono il discorso incominciato dai White Stripes anni addietro e poi colpevolmente interrotto, “Holdin’ My Breath”, invece, ha quei momenti alla Tom Petty che tanto hanno fatto scuola negli Stati Uniti. Non mancano chiaramente le ballate e “Like The Old Me” ne è un esempio cantautorale raffinato. Il disco non ha cedimenti, anche quando strizza l’occhio alle classifiche (“Automatic”) o quando sembra che il fantasma di Kid Rock sia dietro l’angolo (“Wildside”). Sono piccoli peccati veniali che vengono immediatamente cancellati da una bordata come “Fuel” che si colloca tra gli episodi meglio riusciti di “Pressure”. Nel finale si stacca volutamente la spina grazie a “Loner” e “Fever”, con quest’ultima che ha dei richiami profondi ai ZZ Top. Il blues garage di “Coastin” chiude un LP semplicemente delizioso che riconcilia con il vero e puro rock. Da consigliare ai puristi del genere, ma non solo.