La bontà di quest’album, il sedicesimo per l’esattezza, dimostra come il grind sia da sempre un genere sottovalutato e che l’ispirazione per la materia oscura trattata dal gruppo originario del West Midlands sia purtroppo sempre tanta. Il mondo va a pezzi ed i Napalm Death, nell’anno dell’anniversario di ‘Harmony Corruption’, accentuano la componente industriale, rispettando per filo e per segno la loro etica anarcho-punk. Così il successore di ‘Apex Predator – Easy Meat’, prodotto da Russ Russell (Dimmu Borgir, At The Gates) e atteso cinque anni, mette a dura prova il sistema uditivo dei fan di vecchia data ma rappresenta allo stesso tempo una sfida per i più giovani, che desiderano avvicinarsi per gradi al metal estremo. I riverberi del basso di Shane Embury sono giganteschi, Danny Herrera è una furia dietro le pelli e Mark ‘Barney’ Greenway sbraita al microfono come se non ci fosse un domani. La line-up è completata ovviamente da Mitch Harris, che ricordiamo nei Righteous Pigs ma di recente pure nei Soulfly di Max Cavalera. Le influenze di Unsane, Killing Joke e Scorn sono evidenti esattamente come è evidente che i Napalm Death siano riusciti ancora una volta ad imporsi per qualità ed intransigenza.