Non so cos’abbia spinto i norvegesi ad interessarsi prima all’assassinio di Giulio Cesare e poi agli incubi di Vinicio Orsini, nobiluomo laziale del sedicesimo secolo, che fece costruire il Parco dei Mostri di Bomarzo, in memoria della moglie scomparsa. Una foresta di simboli, che suggerisce una civiltà invasa da bestie, demoni e mostri del mondo primordiale. Subito dopo la morte di Orsini, gli alberi iniziarono ad avvicinarsi ed afferrare tali mostruosità. Lentamente, la natura finì ciò che aveva iniziato e un po’ lo stesso è accaduto anche alla musica degli Ulver, prima spaventosa e poi sempre più evocativa. Anche se il black metal sperimentale degli esordi è stato soppiantato da un synth pop, reso cristallino dalla produzione di Michael Rendall (The Orb) e dal mixaggio di Youth (Killing Joke), l’urgenza del loro messaggio non è mai venuta meno e anche stavolta la scaletta riserva sorprese. Il materiale è di sicuro più vicino alla colonna sonora di ‘Riverhead’ che ai primordiali ‘Bergtatt’ e ‘Nattens Madrigal’, ma di lupi ne leggeremo in quantità nella biografia ‘Wolves Evolve: The Ulver Story’, inclusa nell’edizione limitata. Adesso invece è il momento di godersi le derive pop e ambient di Kristoffer Rygg, affiancato come sempre da Tore Ylwizaker e Jørn H. Sværen, ma anche da Fennesz in ‘One Last Dance’. ‘Russian Doll’ e ‘Hour Of The Wolf’, che si ispira pesantemente a Ingmar Bergman, sono i pezzi più interessanti di un lavoro che nel complesso non supera il precedente ma è capace di riproporre un sound eclettico e sofisficato che deve far riflettere l’intera scena metal.