L’umore di Gavin Rossdale (reduce da un tormentato divorzio con la cantante dei No Doubt Gwen Stefani) lo si è immediatamente capito dal video di “Bullet Holes”, il primo singolo di “The Kingdom”, in cui il cantante inglese è apparso “leggermente” arrabbiato con il mondo. Il brano, che ha fatto da apripista a questo disco che sarebbe dovuto uscire a maggio, salvo poi essere posticipato a luglio causa emergenza sanitaria, sembrava essere il giusto viatico per riascoltare i Bush degli anni novanta che, sfruttando l’onda del grunge, avevano fatto soldi a palate. L’illusione, purtroppo, è durata il tempo di questi tre minuti e mezzo di brano, perché il resto del lavoro non appare ispirato come in molti speravano, soprattutto in considerazione delle recenti ultime uscite del gruppo che non avevano fatto gridare al miracolo. Le canzoni, nella loro quasi totalità, sono molto dure, grazie soprattutto a quella macchina da riff che si chiama Chris Traynor, un tempo negli Helmet di Page Hamilton, e da qualche anno a libro paga della band inglese. Il problema serio è che manca l’aspetto melodico che i Bush hanno sempre avuto in passato, soprattutto se si ricordano capolavori come “Greedy Fly”, “Glicerine”, “Hurricane” o la recente “Man In The Run”. Nel caso di specie, dopo qualche bagliore di speranza posto in apertura con la titletrack e “Flowers On A Grave”, il quartetto britannico sembra che cerchi con profonda insistenza solo la potenza, a discapito di tutto quello che dovrebbe caratterizzare uno stile ben conosciuto e solido come quello dei Bush, costituito dalla cura dei particolari e dalle aperture melodiche nella fase dei ritornelli. Rossdale, pur cantando in modo ineccepibile, pare aver perso l’ispirazione da un po’ e “The Kingdom”, di certo, non lo aiuterà a ritrovare la via di un successo che sembra essersi smarrita da qualche anno a questa parte.