Per fortuna che la Nuova Zelanda è lontana perché altrimenti ci sarebbe sul serio da avere paura di questi loschi figuri, che minacciano la nostra sanità mentale. Scherzi a parte, ‘Stare Into Death And Be Still’ è un album gigantesco che sublima la straordinaria produzione di una band che, a partire da ‘Of Fracture And Failure’, ha saputo costruirsi uno stile distintivo ed una nicchia nella quale potere operare in totale libertà. Il trio, sempre più consapevole delle proprie possibilità, prende spunto dal meglio del metal estremo ovvero dal black, dal technical death, dall’avanguardia più oscura e dal post-metal, e lo fa schiantando qualsiasi barriera di genere o limite tecnologico. Ascoltare un batterista come Jamie Saint Merat (ex-Abystic Ritual e Force To Submit) è un piacere per le orecchie e nel complesso l’impianto tecnico-strumentale risulta da brividi, eppure ‘Stare Into Death And Be Still’ risulta leggermente, sottolineo leggermente, meno ostico rispetto ai precedenti ‘Vermis’ e ‘Shrines Of Paralysis’. Se gli Ulcerate guardano a qualche realtà europea allora guardano a formazioni del calibro di Downfall Of Gaia (‘Atrophy’ e ‘Ethic Of Radical Finitude’) e Deathspell Omega e quando Paul Kelland, oltre che percuotere come un assassino seriale le corde del suo povero basso, sbercia a pieni polmoni nel microfono è “impossibile” non tornare di colpo ai primi anni ‘90, quando tutto stava accadendo. Citare un pezzo piuttosto che un altro non avrebbe alcun senso considerato che ‘Stare Into Death And Be Still’ è di una compattezza enorme; certo è che episodi come ‘Exhale The Ash’ o ‘There Is No Horizon’ sembrano scritti apposta per mettere in mostra le qualità individuali del chitarrista Michael Hoggard. Partiture malate per malati di musica estrema ed un lavoro in studio, da acquistare in blocco con ‘Hidden History Of The Human Race’ dei Blood Incantation e ‘Verminous’ dei Black Dahlia Murder per capire cosa cazzo sta succedendo nel mondo.