Il bellissimo dipinto a cura di Paolo Girardi introduce il capolavoro dei veneti. Un disco in grado di riscrivere le regole del post-metal e dare alla scena italiana una credibilità maggiore di quella guadagnata fino adesso. Nel lungo lamento che si eleva allo scandire delle cinque tracce che compongono il successore di ‘Aion’ - tuttora uno degli apici assoluti nel catalogo di Argonauta Records - sarà facile percepire spunti presi in prestito dai lavori di maggiore spicco di Cult Of Luna, Amenra e Isis così come elementi riconducibili ad altre realtà di casa nostra. Per esempio vengono in mente gli ottimi Nero Di Marte e Hierophant, per rimanere in ambito estremo, oppure entità più legate allo sludge quali Incoming Cerebral Overdrive o Lento, ma tutto questo non inficia minimamente la personalità di sei musicisti che possiedono una tecnica spaventosa e soprattutto una visione sonora unica. Un aspetto, quest’ultimo, da non trascurare affatto perché sono veramente pochi i gruppi attualmente in circolazione che possono vantare un suono in tutto e per tutto distintivo. Le macabre note di pianoforte di ‘Elysium’, in cui troviamo pure la bravissima Giulia Parin Zecchin dei Julinko, aprono con solennità un album micidiale che dimostra come i Wows non sappiano nemmeno cosa significhi dare tregua all’ascoltatore. Scordatevi però virtuosismi inutili o arrangiamenti strabordanti di idee che poi si traducono in scarsa efficacia perché ‘Ver Sacrum’ arriva sempre a fare male, sia quando picchia duro come un ossesso sia quando si specchia in melodie malinconiche e dilanianti. ‘Mythras’ è praticamente un pezzo black metal mentre ‘Vacuum’ e ‘Resurrecturis’ tracciano una sorta di linea di continuità con le precedenti registrazioni. Luca Tacconi e Enrico Baraldi sono i responsabili di un suono che si è evoluto e raggiunge in corrispondenza della magnifica ‘Lux Aeterna’ il climax di un processo artistico capace di fondere progressioni alla Neurosis, stacchi puramente hardcore e come detto accelerazioni black metal o decelerazioni sludge. L’ideale sarebbe ascoltarlo con le cuffie a testa bassa mentre si cammina nella più fitta delle foreste e non riuscire più a capire se si è passato o meno il limite tra la vita di tutti i giorni alla trascendenza obbligatoria per ricongiungersi alla Natura. Il rito pagano millenario citato col titolo affascina e invita ad entrare in un vortice oscuro dal quale sarà molto complicato fuggire. Supposto che sia sul serio quello l’intento.