-Core
Gigaton
Pearl Jam
Monkeywrench - Republic
Pubblicato il 26/03/2020 da Francesco Brunale
Songs
1. Who Ever Said
2. Superblood Wolfmoon
3. Dance of the Clairvoyants
4. Quick Escape
5. Alright
6. Seven O’clock
7. Never Destination
8. Take The Long Way
9. Buckle Up
10. Comes Then Goes
11. Retrograde
12. River Cross
Songs
1. Who Ever Said
2. Superblood Wolfmoon
3. Dance of the Clairvoyants
4. Quick Escape
5. Alright
6. Seven O’clock
7. Never Destination
8. Take The Long Way
9. Buckle Up
10. Comes Then Goes
11. Retrograde
12. River Cross

Non è mai facile approcciarsi con un disco nuovo dei Pearl Jam. Per loro parlano la storia, i milioni di dischi venduti nel globo, i concerti che sono diventati dei veri e propri eventi, la carriera da star trasversali, la qualità grandiosa delle canzoni e la forza di essere sempre rimasti fedeli a se stessi. Una sorta di paladini dell’onestà rock che li ha fatti apprezzare in ogni angolo del pianeta, tanto che il concetto di visibilità per loro è stato sempre molto aleatorio. Il problema attuale è che, nonostante le tante virtù citate, è molto difficile capire che cosa i cinque di Seattle abbiano in testa, visti i loro ultimi lavori che non hanno lasciato nulla di epocale. Vena artistica appannata come è accaduto ai grandi della storia del rock? Può darsi. ‘Gigaton’, disco che sarà ricordato, nonostante tutto, in quanto immesso sul mercato in un periodo storico tra i più tragici che si possano ricordare, è un lavoro che viaggia sulla strada della frammentarietà. Sicuramente, rispetto a Lightning Bolt, è migliore nella sua interezza, ma nel complesso ci si sarebbe aspettato qualcosa di più. Eppure l’inizio non è tanto male. L’opener ‘Who Ever Said’ è un buon pezzo tirato che sembra quasi fatto apposta per poter aprire i loro concerti. Poi ci sono i due singoli. ‘Superblood Wolfmoon’ non lascia sinceramente traccia, mentre ‘Dance of the Clairvoyants’ sembra essere un incrocio tra i Talking Heads e la disco degli anni 70. All’inizio può lasciare interdetti, ma con il passare degli ascolti il brano ha il suo perché. Insomma quando si tratta di osare, Vedder e compagni hanno ancora frecce da scagliare dal proprio arco. Stesso discorso per l’ottima ‘Quick Escape’ che ha un grandissimo ritornello. Questo è un brano che può andare di sicuro a finire tra quelli di maggior gradimento da parte dei fan, grazie ad un lavoro esemplare realizzato da Jeff Ament che con il suo basso traina il resto della ciurma verso soluzioni davvero interessanti. Come spesso accade nei loro cd, la quinta traccia è quella riflessiva. Anche in ‘Gigaton’ si conferma la regola ed ecco che appare ‘Alright’ che è un lento in linea con quanto uscito dalle loro ultime produzioni. Dalla serie il compitino è stato eseguito, ma siamo lontani dalle vette di una ‘Black’ o di una ‘Nothingman’. ‘Seven O’ Clock’ ha, invece, suoni variegati e psichedelici. Vedder canta accompagnato dalla coppia ritmica, con le chitarre che fanno da accompagnamento. La sua voce è in primo piano, ma sembra quasi parlare più che cantare. Ci si aspetta che la canzone possa esplodere da un momento all’altro, ma in realtà non è così. Le tastiere rendono il ritornello molto malinconico, così come gli effetti chitarristici che danno luce ad un brano di natura grigia, quasi autunnale. ‘Never Destination’ è, invece, un classico pezzo dei Pearl Jam degli anni 2000. Veloce, schitarrato il giusto, quasi uno sfogo da studio. Negli anni 90 sarebbe stato un diversivo, forse una b-side, oggi invece una canzone del genere finisce direttamente in un album, a dimostrazione di come i tempi siano cambiati. Va molto meglio con ‘Take The Long Way’, anche essa molto veloce, ma con un ottimo chorus che la rende facilmente orecchiabile e cantabile e con le chitarre finalmente libere di sfogarsi come ai bei tempi. ‘Buckle Up’ riporta i Pearl Jam su sentieri più tranquilli (si ascoltano i fiati verso la fine), così come ‘Comes Than Goes’ che appare un misto tra ‘Off He Goes’ ed ‘Of the Girl’, pur non avendo l’ispirazione dei tempi che furono. Il finale è ancora in acustico. ‘Retrogade’ è una buona canzone, triste il giusto e sulla scia di quanto inciso con il loro omonimo del 2006, mentre ‘River Cross’ ha sonorità che cercano di riprendere il discorso iniziato con ‘Indifference’ e portato avanti con ‘Around The Bend’. In questo modo, dopo quasi un’ora di musica, si conclude la nuova fatica di Vedder e compagni. Disco epocale? No. Disco da buttare? Neanche. Sicuramente un lavoro discreto, ma da gente come loro, forse, era lecito aspettarsi qualcosa in più.

 

Pearl Jam
From USA

Discography
1991 – Ten
1993 – Vs.
1994 – Vitalogy
1996 – No Code
1998 – Yield
2000 – Binaural
2002 – Riot Act
2006 – Pearl Jam
2009 – Backspacer
2013 – Lightning Bolt
2020 – Gigaton