L’aspetto più curioso legato a questo splendido album è che si tratta solo dell’ottavo studio album di una band che ha legato il suo nome alla storia della NWOBHM. Una vera leggenda che, per motivi più o meno noti, non è riuscita ad ottenere il riscontro economico che avrebbe meritato per l’originalità compositiva ed un’attitudine in grado di ispirare fortemente icone come Iron Maiden e Metallica. La mia ultima immagine dei Diamond Head è al British Steel Fest di Bologna dove, assieme ai colleghi di ClassixMetal, Brian Tatler e soci si esibirono assieme a Angel Witch e Girlschool e si respirò sul serio una bella atmosfera, fresca e pungente al di là dell’età dei musicisti coinvolti. Adesso ritrovo i Diamond Head con il secondo lavoro in studio registrato con Rasmus Bom Andersen al microfono e rimango sbalordito di quanto il chitarrista inglese sia riuscito a spingersi avanti in termini di songwriting e produzione. Non mi fraintendete, ‘The Coffin Train’ resta nei canoni del genere e non tenta soluzioni ardite o sperimentali, ma siamo al cospetto di un album completo sotto tutti i punti di vista, ricco di spunti melodici che faranno impazzire chi ha consumato ‘Lightning To The Nations’ e ‘Borrowed Time’ così come retaggi psichedelici e hard rock riconducibili alla passione per i primi lavori dei Led Zeppelin (‘Shades Of Black’ e ‘The Phoenix’). Si parte fortissimo con ‘Belly Of The Beast’, si passa poi ad un pezzo corposo e cadenzato come ‘The Messenger’ ed alla title track che trasmette un’energia sorprendente e mette in luce le doti di Karl Wilcox dietro le pelli. I “fratelli” di Iron Maiden e Metallica approveranno.