Il rapporto con il metal inglese è sempre stato particolare per il sottoscritto. Prima la comune infatuazione con gli Iron Maiden, poi sono arrivati i Paradise Lost e, trascurando qualche sparuta apparizione, per anni qualsiasi scena sul territorio britannico non ha fatto a tempo a nascere che poteva già considerarsi morta. Vedere con che forza i Venom Prison si ritagliano spazio su Kerrang! e Metal Hammer è incoraggiante, ancor più che sorprendente, e non venitemi a dire che è tutto merito della presenza femminile di Larissa Stupar, ex Wolf Down, perché la sua voce è roba da far impallidire la Karyn Crisis di ‘Deathshead Extermination’ e ‘The Hollowing’. La verità è che i Venom Prison sono sbucati fuori dal nulla e per chissà quale bizzarro motivo del mercato sono diventati più interessanti per le riviste specializzate ed i media di tanti artisti pop-punk o metalcore. Prosthetic Records è da sempre garanzia di qualità ma credo veramente che ‘Samsara’ sarà uno dei due-tre capolavori in catalogo di cui si parlerà ancora tra quindici anni, quando le declinazioni col suffisso “core” saranno diminuite e gli standard con i quali valutare la materia estrema saranno totalmente mutati. I progressi rispetto a ‘Animus’ sono sostanzialmente due ovvero un suono di batteria devastante e un approccio lirico più adulto. Quanto basta per staccare la concorrenza ed imporsi in un movimento che di recente ha visto brillare Outer Heaven, Tomb Mold, Rivers Of Nihil e Horrendous. Da brividi pure ‘Uterine Industrialisation’, tra Dying Fetus e Cannibal Corpse, e l’accoppiata formata da ‘Sadistic Rituals’ e ‘Implementing The Metaphysics Of Morals’, che mette a dura prova la resistenza del nuovo drummer Joe Bills (ex Fallen Apollo e Human Herror), citando Code Orange e marciume scandinavo.