C’erano una volta i Branded Skin, originari di Osnabrück nella Bassa Sassonia, ed il loro death metal potente e scarno che ottenne un discreto riscontro a livello underground con ‘Shadows Of Fear’. Dopo l’esordio però la band registrò un promo senza attirare l’attenzione di un’etichetta discografica importante e così decise di sciogliersi. Dalle ceneri dei Branded Skin sono nati i Fleshworks, sostanzialmente la stessa band con un nuovo cantante ovvero Dirk Frenking, ex Fetocide e Difused. Prima è uscito ‘The Deadventure’ e adesso, dopo nove lunghi anni, ‘Engine Of Perdition’, che ripaga questi cinque musicisti di tutti i loro sforzi e si attesta tra le release estreme migliori degli ultimi mesi. La speranza è davvero quella che Apostasy Records (tra le sue fila anche Night In Gales, Fragments Of Unbecoming e Maladie) sia in grado di supportare al meglio questo masterpiece. É sufficiente accendere lo stereo, inserire il cd nel lettore e premere il tasto play per essere travolti dalla furia cieca dei tedeschi; il basso di Jens Wendlandt è mostruoso, Alexander Schmidt non perde un solo colpo dietro le pelli e il guitar work è iper-tecnico ma mai fine a sé stesso. All’inizio l’album sembra collocarsi nel limbo del brutal death più rigoroso e demodè ma con il passare dei brani, ‘Acclamation To Deprivation’ e ‘The Moloch’, un fervore epico comincia a serpeggiare nel songwriting fino alla chiusura solenne di ‘Dead Men Working’ che farebbe invidia a Unleashed o Revel In Flesh. Il cantato è demoniaco quanto basta per far sì che le gigantesche invettive ritmiche profuse mostrino il loro lato dinamico. Un monolite in grado di asfaltare tutto quello che trova sul suo cammino e il premio ad una carriera che finora non era stata troppo fortunata.