Il gruppo kazako dimostra di essere cresciuto parecchio rispetto al debutto di quattro anni fa che suonava palesemente deathcore. Adesso l’impronta del songwriting è maggiormente orientata verso un mix tra un black sinfonico alla Dimmu Borgir e un death melodico moderno alla Children Of Bodom (anche dall’artwork non è difficile immaginare una certa passione per i finnici) con titoli anthemici quali ‘Kabbalah’, ‘Alchemist’, ‘Due Diaboli’ e ‘Infinitas Non’ abili a creare un pathos forse superiore alle reali potenzialità delle atmosfere profuse. A tratti i SevenSins escono dal seminato inserendo cori femminili (‘Mors Atra’) o elementi della cultura mediorientale (‘Avicenna’) ma per quasi l’intera durata dell’album la materia trattata è piuttosto omogenea e indirizzata ad una tipologia di pubblico precisa. Senza dubbio la chiave di volta per capire se i SevenSins potranno togliersi soddisfazioni all’estero sarà la dimensione dal vivo nel quale dovranno provare di sapere competere con l’ardua concorrenza. Altrimenti il rischio è che la copertina di ‘Due Diaboli Et Apocalypse’ si perda tra quelle simili in rete. Per il momento non siamo al cospetto di un disco originale ma divertente sicuramente sì.