Insieme agli Emperor, che però non hanno avuto la medesima durata, i Satyricon sono stati i primi a distaccarsi dalle regole rigide imposte dall’Inner Circle e dalla comunità black metal scandinava. Un po' perché consapevoli della propria superiorità tecnica e un po' perché attratti dalla spettacolarità dell’arena rock, Satyr e Frost hanno impostato la loro carriera sulla ricerca sonora e la sperimentazione, tentando di stigmatizzare un sound sempre più originale e rendendo la propria proposta ancora più epica e fruibile da tutti. In fase di presentazione i norvegesi hanno dichiarato che ‘Deep Calleth Upon Deep’ potrebbe essere l’inizio di qualcosa di nuovo oppure essere l’ultimo album di una discografia davvero invidiabile. I gravi problemi di salute del leader non hanno però impedito di portare a termine un altro lavoro in studio che fissa gli standard del black metal di oggi e sembra voler mettere da parte o comunque evolvere l’esperienza dell’omonimo disco di quattro anni fa e il tour con il Norwegian National Opera Choir. La tracklist punta su melodie solenni, arrangiamenti epici ed un tono decadente ben rappresentato dal disegno a carboncino realizzato da Edvard Munch e utilizzato per la cover. Ormai da diverso tempo, i norvegesi hanno abbattuto la concorrenza sviluppando un linguaggio sonoro unico col quale sono in grado di raggiungere i fan sfegatati dell’Inner Circle ma anche gli appassionati di metal (‘To Your Brethren In The Dark’ e ‘Black Wings And Withering Room’) e rock duro (‘The Ghost Of Rome’) che al black si sono sempre avvicinati con cautela. Il dualismo vita/morte caratterizza buona parte delle liriche, il gelido drummin’ di Frost rende trionfali ‘Midnight Serpent’ e la title track e chi ha amato i precedenti ‘Now, Diabolical’ e ‘The Age Of Nero’ approverà pure stavolta. Sul finale ‘Dissonant’ viene tagliata a metà da un sax decadente mentre ‘Burial Rite’ è pura avanguardia che farà sobbalzare Solefald e Dødheimsgard.