E' davvero difficile non innamorarsi della cantautrice nativa di Sacramento. Un po' per la sua immagine fortemente evocativa e cinematica, un po' per la sua anima scura come la pece, si finisce per essere ammaliati dallo sguardo misterioso e dal songwriting dai tratti pungenti e ispidi. Spingersi al medesimo livello qualitativo dell’angosciante ‘Abyss’ non era affatto semplice e Chelsea Wolfe lo sapeva benissimo. Una volta svanito l’effetto sorpresa, le sue atmosfere surreali e l’inconsueta miscela tra drone metal, art folk e death rock erano chiamate a raggiungere le stesse vette espressive evitando di confondere il pubblico. In realtà, grazie a Kurt Ballou dei Converge, ha saputo fare pure meglio spostando ancora di più l’attenzione sulla propria voce, un ibrido tra Diamanda Galas, Nick Cave e Emma Ruth Rundle assolutamente lesivo per la mente (‘16 Psyche’ e ‘Vex’). Chi non ha mai visto la ragazza dal vivo farà fatica, almeno all’inizio, a calarsi in un ascolto impegnativo e costruito su spasmi chitarristici e pulsazioni electro-minimal (‘Strain’ e ‘Offering’). Il contributo di Troy Van Leeuwen, appena tornato sul mercato con quei villani dei Queens Of The Stone Age, e di Aaron Turner, ex Isis e Old Man Gloom, ha destato scalpore e di sicuro eleva lo spessore della release anche se sono i sussurri evocativi di Chelsea Wolfe, l’ugola oscura e le liriche malsane ad emozionare più di tutto il resto. Tanta psichedelia, riflussi gotici alla Esben The Witch o Swans e niente che possa assomigliare pur da lontano ad un singolo da classifica. Proprio per questo ci piace tanto.