L’ennesimo riff rubato ai Korn introduce il successore di ‘Node’ che, almeno negli obiettivi degli australiani, dovrebbe sancire la consacrazione internazionale di un gruppo che finora ha fatto molto bene in alcuni mercati ed è stato trascurato in altri. Fin dai primi minuti ‘Mesmer’ appare un disco più elaborato e curato sia dal punto di vista degli arrangiamenti che da quello delle liriche. Il titolo fa riferimento al dottore tedesco che mise a punto la teoria del magnetismo animale e dei flussi che, secondo il suo parere, condizionano la salute dell’essere umano. Da tale teoria presero il via gli studi sull’ipnosi e negli accenni djent della scaletta è facile riscontrare atmosfere alienanti. Ci pensano gli stacchi hardcore, sempre più Architects e Parkway Drive sebbene mitigati da una produzione moderna, utilizzati da Marcus Bridge per mettere in luce tutto il suo talento. Qualcuno ancora rimpiange Adrian Fitipaldes ma i tempi di ‘Discoveries’ e ‘Singularity’ sono andati e non mi pare ci sia da lamentarsi. Dopo le emotive ‘Solar’ e ‘Heartmachine’ l’ascoltatore viene travolto da due pezzi micidiali come ‘Intuition’ e ‘Zero-One’ e forse sono proprio questi due episodi che danno la misura del valore dei Northlane. Il guitar work di Jon Deiley e Josh Smith è derivativo ma privo di pecche e gli stacchi ritmici meno scontati di quanto possa apparire inizialmente. Soprattutto non si assiste ad una sfilata di breakdown come nella maggior parte dei dischi metalcore e le forzature vengono limitate nell’ottica di non smarrire concretezza dal vivo. Chiude ‘Paragon’, testo drammatico legato alla scomparsa di Tom Searle, e l’impressione è che i ragazzi abbiano compiuto il passo in avanti definitivo in studio di registrazione. Adesso sarà il palco a darci le risposte di cui abbiamo bisogno ma di sicuro ‘Mesmer’ è uno dei migliori album di metal moderno usciti negli ultimi anni.