Sei tracce folgoranti nelle quali potrete trovare doom, psichedelia, prog e heavy rock in quantità. Un quarto album che mostra come gli Elder, apparsi sulle scene più di dieci anni fa con lo split coi Queen Elephantine, non siano facili a compromessi o abituati a soluzioni di facile presa. Le iniziali ‘Sanctuary’ e ‘The Falling Veil’ aprono le danze con oltre undici minuti di durata e tale approccio non viene mutato per tutta la scaletta. L’episodio più breve, ‘Sonntag’, è comunque di quasi nove minuti ma non aspettatevi il classico materiale borioso, ripetitivo e derivativo al massimo perché ‘Reflections Of A Floating World’ è l’esatto opposto. A tratti i giri ipnotici dei musicisti originari del Massachusetts vi manderanno fuori di testa ed ed il contributo di Mike Risberg e Michael Samos appare notevole. La componente doom non è così accentuata come nell’omonimo debutto del 2008 ma spettri di Pallbearer e Orchid si delineano all’orizzonte con riferimenti ad altri capitoli precedenti come ‘Dead Roots Stirring’, soprattutto nel suono del basso, e ‘Lore’, nelle parti più smaccatamente prog. Addirittura ‘Blind’ richiama alla mente i Baroness, il genio di Nicholas DiSalvo emerge a più riprese e viene da chiedersi come una band del genere possa essere ancora intrappolata nelle basse sfere dell’anonimato. Andatevi ad ascoltare il loro ‘Live At Roadburn’ e poi lasciatevi rapire da questa scaletta formidabile conclusa dall’incandescente ‘Thousand Hands’.