-Core
Plaster
Italia
Pubblicato il 13/02/2016 da Lorenzo Becciani

Prima di tutto vorrei sapere se ti è piaciuta la recensione. Non per autocelebrarmi o chissà cosa ma perché ritengo che l’ambito in cui si collocano i Plaster sia quanto mai difficile da esplorare e descrivere con le nude parole…
Sei il giornalista che ha seguito maggiormente il percorso di Plaster e sei riuscito sempre a scavare nei meandri del lavoro musicale portato avanti ed ogni volta è piacevole stuzzicare le tue parole, quindi proprio si.

Puoi presentare il progetto a chi ancora non lo conosce sottolineando quelle che sono state le release ufficiali e la progressione stilistica che hai avvertito tra di esse?
Plaster è un progetto di musica elettronica che prende vita dalle torsioni del metallo immerso in un liquido scuro con sprazzi di lucente argento al passare della luce (mi piace introdurlo così perché stilisticamente parlando sarebbe complicatissimo). Dalla nascita del progetto nel 2008 fino al 2013, Plaster è stato un duo composto da me (Gianclaudio H. Moniri) e Giuseppe Carlini. Dal 2013 ad oggi sono io a farne completamente le veci. Durante questi 8 anni di attività il progetto ha preso varie forme e abbracciato stili e pubblico differenti. Vorrei sintetizzare elencando quelle che sono a mio avviso i punti chiave della discografia di Plaster: 'Platforms', 'Monad XV' e 'Mainframe'. Il rapporto che c’è fra queste tre release è quello di uno step sempre più alto in termini di sviluppo del suono e della sua concezione. 'Platforms' (Kvitnu 2011) secondo me è un disco ad alto valore emotivo, al suo interno si possono trovare delle gemme che tutt’oggi ritengo insuperabili, difficile da collocare e per alcuni aspetti un po’ immaturo, ma è stato sicuramente un bel trampolino di lancio. 'Monad XV' (Stroboscopic Artefacts 2013) lo considero il lavoro con minore contenuto emotivo ma è stato il passaggio fondamentale per sperimentare il sound Plaster all’interno del mondo Techno, quindi una sorta di modellamento verso qualcosa che fino a quel momento non apparteneva al progetto e che ha prodotto delle tracce di cui ne vado fiero. 'Mainframe' (Kvitnu 2015) infine lo considero il disco della maturità, dove sentimento e tecnica si fondono all’unisono, dove sapevo esattamente dove arrivare e come arrivarci, sicuramente il lavoro che ha messo maggiormente in discussione tutto l’operato svolto fino a quel momento.

L’assenza di Giuseppe Carlini ti ha facilitato il compito in fase di composizione e produzione oppure, al contrario, ti ha complicato le cose?
In realtà quella di Giuseppe è stata un’assenza presenza, infatti quando ho iniziato a scrivere 'Mainframe' ero consapevole che una parte importante del sound proveniva dal suo sound, quindi per me è stato fondamentale e stimolante riuscire a riproporre anche se in forma diversa quelle che erano le sue astrazioni ed evoluzioni all’interno dei brani. Non direi una complicanza ma piuttosto un’opportunità per provare cose nuove e strumenti diversi anche se ho dovuto ingegnarmi molto.

Cosa intendevi migliorare o cambiare dopo ‘Platforms’ e ‘Zyprex 500’?
In 'Mainframe' ho sentito la necessità di andare “oltre” rispetto ai precedenti lavori e non pormi alcuna barriera stilistica. Ho lasciato spazio alle note e alla musicalità delle tracce senza rinchiuderle in un target o format. Inoltre il mio cruccio era quello di non ripetere sonorità già proposte e di riuscire ad esplorare mondi nuovi sia musicali che interiori. Avevo l’idea fissa di creare qualcosa di maestoso e potente di cui poterne andare fiero negli anni a venire. Non vorrei sembrare borioso con questa affermazione ma considero Mainframe come uno dei migliori dischi di musica elettronica degli ultimi dieci anni.

Il potere cinematico di 'Mainframe' è spaventoso. So che l'hai immaginato come una colonna sonora. Vuoi spiegarci meglio?
Nel corso degli ultimi tre anni ho lavorato a stretto contatto con il mondo del cinema e televisivo come tecnico di doppiaggio. La mia filmografia personale è cresciuta, dandomi così la possibilità di ascoltare e capire come la musica sia di una potenza incredibile all’interno di un film o una serie televisiva e di come si possa muovere verticosamente creando delle forti astrazioni però sempre ben salde al visivo. Il genere che mi appasiona maggiormente è la fantascienza e 'Mainframe' l’ho immaginato proprio come un disco che delinei il futuro, dove interstizi metallici si fondono con il fumo di città colossali e di luci al neon sterminate, dove la tecnologia d’avanguardia crei nuovi orizzonti e mutamenti. In molti feedback ricevuti ho riscontrato che queste immagini erano vivide anche negli ascoltatori e questa cosa mi ha fatto enormemente piacere perché significa che sono riuscito a traslare perfettamente le mie visioni in musica.

Possiamo parlare di una nuova era per i Plaster oppure pensi che Giuseppe potrebbe tornare a breve e di conseguenza provocare un altro sussulto?
Plaster è un progetto che viaggia su tempi estremamente dilatati e non credo che al momento ci sia modo/volontà di tornare in formazione originale, però non escludo che in futuro possa succedere.

In termini di elettronica pura e techno sperimentale cosa hai ascoltato di interessante di recente?
Di recente non ho ascoltato ne elettronica pura ne techno sperimentale. Mi sono appassionato ad alcuni gruppi power duo basso e batteria, Death From Above 1979 su tutti che hanno catalizzato completamente la mia attenzione verso sonorità più scarne e rabbiose.

Hai utilizzato dei synth o dei software particolari durante le sessioni di registrazione?
Ho utilizzato tantissimo l’Ipad in quanto molte idee del disco sono nate durante piccoli viaggi e mentre mi recavo a lavoro la mattina. La sera, o al ritorno da questi viaggi riversavo tutto su computer, cominciando così a riempire la libreria di suoni che ho poi utilizzato per la stesura del disco. In studio ho utilizzato vari synth analogici tra cui Roland SH 101, Waldorf Rocket, Volca Beats e Volca Bass. Il resto sono manipolazioni digitali, Fields Recording registrati nella metropolotina di Roma e strumenti suonati attraverso il campionatore.

Se ‘Mainframe’ fosse un quadro quale sarebbe il colore più utilizzato?
Antracite.

Ci siamo conosciuti al Dancity Festival in compagnia di Dmytro Fedorenko e Zavoloka. Che rapporti hai con la Kvitnu?
Siamo ormai una famiglia allargata, Dmytro e Katya sono amici oltre ad essere colleghi e persone con cui lavoro. Ci sentiamo, vediamo e confrontiamo anche al di fuori della musica e devo dire che sono molto contento di questo perché sono persone con cui sono cresciuto e sto crescendo.

Ti lasciano totale libertà artistica? Quali sono le tre uscite fondamentali nel loro catalogo a tuo avviso?
Fondamentalmente non c’è mai stato un vero limite artistico tra me e la Kvitnu, molto spesso ci siamo confrontati su come realizzare al meglio i lavori da pubblicare. Capire cosa funzionasse e cosa eliminare al fine di rappresentare al meglio le releases. Dmytro per esempio è stato di grande aiuto nella realizzazione di 'Mainframe', l’orecchio esterno, quello critico che mi ha permesso di migliorare le tracce e di averne una visione differente. Scegliere nel catologo Kvitnu solo tre release sarebbe riduttivo in quanto nel corso di questi anni il suono dell’etichetta si è evoluto vorticosamente e sento che si stà uniformado sempre più, sicuramente tra i miei artisti preferiti ci sono: Mingle, Zavoloka, Matter, Vitor Joaquim, Kotra e Pan Sonic.

Hai studiato architettura? Come possono architettura e suono collimare una proposta artistica non strettamente musicale?
Non ho studiato architettura anche se è una scienza che mi attrae molto. Sicuramente un forte connubio artistico è quello delle installazioni, della sperimentazione legata al luogo in cui il suono viene riprodotto, le varianti del materiale con cui esso viene a contatto e alla forma della superficie in cui il suono si diffrange. Mi viene pensato in tutto questo a Pinuccio Sciola, non proprio architetto, ma artista sardo che realizza delle sculture in pietra capaci di riprodurre suoni astratti e non solo. www.youtube.com/watch?v=f0UA3Bt6NeI

Sull'album abbiamo anche Valeria Svizzeri..
E' mia moglie e una cantante professionista. Ho pensato che lavorare insieme al disco poteva essere l’occasione giusta per iniziare una nuova collaborazione, cosa che fino a quel momento non era accaduta in quanto veniamo da mondi musicali differenti. Devo ammettere che il risultato è stato sorprendente per entrambi ed in studio ci siamo divertiti molto.

Oltre a 'Unicore' quali sono gli altri passaggi chiave dell'album?
'Redshift' ed 'Omega', entrambe tracce di passaggio, più distese e rilassanti, con la capacità di prepararo ad altro.

Qual è stata l'esperienza live più elettrizzante come Plaster fino a questo momento? Hai dei progetti in particolare per promuovere 'Mainframe'?
Un concerto che ricordo con particolare piacere è stato quello di Taiwan nel 2013, la prima volta in oriente davanti ad un pubblico completamente differente da quello eurepeo e con supporto tecnico da parte dello staff di grande eccellenza. Per la promozione di Mainframe stò realizzando una serie di Video con differenti artisti visivi tra cui Franz Rosati che ha realizzato un video sperimentale prettamente in dominio digitale per 'Terminal', Alessandro Falchi che attraverso l’uso della manipolazione di filmati reali ha realizzato un video organico squisitamente dark per 'Unicore (Part 3)', Audioreactlab che tra giochi di luce e geometrie stroboscopiche, ha dato vita ad un video epilettico per 'Unicore (Part 1-2)'. Infine arriverà un nuovo lavoro da parte di Cubert per la traccia 'Cluster System'.

 

Plaster
From Italia

Discography
Platforms 2011
Zyprex 500 2011
Mainframe 2015
Transition 2018