-Core
Dardust
Italia
Pubblicato il 19/02/2015 da Lorenzo Becciani

Girando in rete si legge “un mix di pianoforte, elettronica e navi spaziali”. Cosa c'è di vero?
Tutto. C’è il pianoforte a muro dei Funkhaus studios che suona, sinth e soundscape creati insieme al mio socio Vanni Casagrande tra Berlino e Roma e una nave spaziale pilotata da un bambino astronauta che si schianta su un pianeta “M” nel videoclip del primo singolo girato da Tiziano Russo. In verità mancherebbero gli archi guidati da Carmelo Patti, compositore italiano che vive e lavora a Rotterdam.

Come è nata l'idea di dare vita a questo progetto?
Dopo anni di songwriting in ambito pop e cantautorale al servizio di “altri”, ho avuto l’esigenza di decomprimermi da quel tipo di “attitudine” e di fare qualcosa di totalmente mio e che mi rappresentasse senza pensare a schemi o strutture pre definite anche se poi paradossalmente il concetto del “pop” è stato determinante per la scrittura di almeno sei tracce del mio primo disco “Seven”. Anche nella fruizione del progetto. Ho voluto fortemente che almeno tre brani del disco fossero veicolati come i classici “singoli” di un album pop con radio edit e videoclip abbinati, ampliando lo spazio narrativo e l’immaginario del progetto.

Sei influenzato dal cosiddetto movimento neo classico che proviene soprattutto da Islanda e Germania? Mi vengono in mente artisti come Nils Frahm, Olafur Arnalds...
Esattamente. Se non ci fossero stati questi due pianisti forse non avrei avuto la voglia di partire per questa missione. I lavori di Olafur Arnalds prima di tutto. Quel tipo di malinconia nordica fatta di scricchiolii del piano, lentezza assoluta, una stanza silenziosa e un quartetto d’archi mi ha profondamente segnato. Anche se quando sento la parola “neo-classico” mi spavento molto. Conosco il campo “minato” della “classica” o del “jazz”, legato oltreché dalla scrittura anche dalla qualità dell’esecuzione pianistica. In “Dardust” conta l’insieme, l’immaginario e il “mood”. Seppur vagando nel minimalismo pianistico in Dardust non ci vedo solamente qualcosa che appartiene a questo movimento, ci vedo anche tante altre mie passioni che sono l’elettronica e come dicevo prima il pop. Per questo io lo chiamerei semplicemente “pop strumentale”.

Sei legato anche a pianisti più sperimentali come Giovanni Guidi che recentemente ha collaborato con Vladislav Delay?
Ho profonda stima sia per Giovanni Guidi che per Ripatti alias Vladislav Delay che conosco entrambi separatamente. Non ho avuto modo ancora di ascoltare il lavoro svolto assieme. Lo farò certamente. Forse sono più vicino a quello di Vladislav Delay che a quello di Giovanni Guidi che si muove in ambito jazz che è un ambito dal quale sono distante e al quale non oso minimamente paragonarmi. Come dicevo la mia concezione della scrittura è assolutamente più pop.

Cosa puoi dirci invece di artisti come Ben Frost e Jon Hopkins?
Ho ascoltato molte volte l’ultimo “Aurora” di Ben Frost e devo dire che sono molto più vicino a Jon Hopkins nel modo di lavorare o perlomeno mi piacerebbe esserlo. “Immunity” è stata una mia passione. Un album che ho ascoltato in maniera quasi ossessiva e maniacale, anche se di Hopkins amo tantissimo anche le composizioni sole al piano… il trittico “Abandon Window” “Night Fall” e “Autumn Hill” live a a KCRW su youtube credo abbia più views mie che di chiunque altro.

Qual è infine il compositore classico che più ami?
Ce ne sono tanti. Ora direi due nomi, Shostakovich e Chopin. Di Shostakovich ho ascoltato fino allo sfinimento i suoi piano concerti e Chopin ha accompagnato da sempre la mia adolescenza. Ultimamente aggiungerei anche Vivaldi, grazie al lavoro di Max Richter sulle Quattro Stagioni ho avuto modo di apprezzare e percepire in maniera diversa quest’opera.

Seven come sette brani e sette giorni per registrarli. Qualche analogia anche col film di David Fincher?
Hai nominato uno dei miei film preferiti anche perché c’era David Bowie di mezzo con la colonna sonora e la sua “Hearth Filthy Lesson”. In verità non ci avevo mai pensato.

Cosa ti ha spinto a registrare presso i Funkhaus Studios? Che tipo di suono volevi ottenere?
Mi ha portato ai Funkhaus studios Matteo Cantaluppi con il quale avevo avuto modo di lavorare in passato. Mi sono affidato totalmente a lui senza cercare un suono particolare se non quel tipo di intimità di cui parlavo sopra, che poi è stata totalmente ridimensionata durante la lavorazione del disco aggiungendo strings ed elettronica. Forse quell’aspetto e il suono dello studio H1-3 dei Funkhaus si percepisce nell’intro di qualche brano e in “Angoli di Ieri”.

E' stato difficile mixarlo? Quante versioni hai ascoltato prima di scegliere la definitiva?
Nella mia testa c’era una sola versione ed è quella che abbiamo ottenuto lavorando con Matteo per tanti giorni nella sala Star 1 dei Funkhaus, che dopo la caduta del muro di Berlino viene utilizzata come sala di mastering e di ascolto, che grazie ai suoi monitor PCM IB1S aveva un’acustica pazzesca. Sarei stato lì ore ed ore ad ascoltare il lavoro finale.

Chi ha contribuito alla realizzazione dell'album in studio?
Con Vanni Casagrande ho costruito l’impianto ritmico fatto di drumming, arpeggiatori ed effettistica varia, diciamo lo scheletro di Dardust e con Carmelo Patti tutti i soundscape di archi che fanno da sfondo ai temi scritti con il piano. Hanno poi lavorato Anthony Hequet che è questo personaggio eclettico, attore, insegnante di canto, fonico e polistrumentista che ha seguito le registrazioni a Berlino e Cantaluppi che ha seguito il mix finale. Infine il mastering è stato affidato a Francesco Donadello (collaboratore di Modeselektor, Efterklang, Dustin O’Halloran, Lubomyr Melnyk, A Widget Victory For The Sullen, Johann Johanassson).

Nella presentazione si parla anche di una trilogia ispirata a città come Berlino, Londra e Reykjavik. Vuoi spiegarci meglio?
Sono tre città che amo e che vorrei fossero lo scenario per la mia creatività in questo percorso come “Dardust”. Sono città che durante i miei ascolti dall’adolescenza ad oggi ho sempre sognato, partendo da Berlino con la trilogia di Bowie e Achtung Baby degli U2, passando per la Londra di tutto il Brit Rock, dei Radiohead e di Jon Hopkins, per chiudere con l’Islanda di Bjork, Sigur Ros e Olafur Arnalds. Siamo pronti a partire per l’Islanda dove sono già stato per scrivere il secondo disco e ultimamente mi sta venendo l’idea di fare il terzo disco invece che a Londra a Tokyo spostando un po’ l’asse di questa trilogia. Tutta colpa di Sakamoto che è un altro compositore che amo visceralmente.

Un film invece a cui si è sicuramente ispirato Tiziano Russo per il video di Sunset On M è L'uomo che cadde sulla terra di Nicolas Roeg. Che sensazioni ti trasmettono quelle immagini?
In verità era un riferimento che avevo dato a Russo all’inizio. Scherzavo dicendo voglio fare il mio film “spaziale” intitolato “Il Bambino che cadde sulla terra”.
Non ci sono proprio riferimenti espliciti a quel film, forse li inseriremo nel sequel e nel pre-quel di questa storia dato che i prossimi due singoli racconteranno davvero come è andata col bimbo astronauta. Per quello che riguarda il film di Roeg, i flashback sul pianeta che vedono protagonisti tutti i componenti della famiglia di origine di Mr. Newton in agonia per la siccità, sono pazzeschi.

Perché hai scelto proprio quella traccia come primo singolo?
Perché è un po’ il manifesto di questo lavoro ed è il brano più immediato e chiaro per farlo arrivare.

Quale tipologia di pubblico che pensi possa apprezzare il tuo album?
Non oso conquistare il pubblico della classica ma se ciò accadesse ne sarei onorato. Il goal sarebbe raggiungere il pubblico indie, electro, pop, e quindi di portare questo immaginario neoclassico europeo in questi mondi apparentementi distanti. Speriamo di farcela. Il primo test sarà proprio il 16 Aprile alla serata di apertura del Design Week Festival 10 organizzato da Elita a Milano.

Dardust
From Italia

Discography
7 - 2015
Birth - 2016